La notte delle fiaccole. Ricordando Ambrosoli tra le finestre buie

Nella notte di Croazia-Inghilterra un piccolo corteo si muove verso un luogo dimenticato a tre minuti di distanza. Circa 200 persone, molti giovani, si mettono in fila all’uscita del San Carlo, piccolo e accogliente cineteatro del centro di Milano. E’ appena terminata la rappresentazione di uno spettacolo lineare, di elegante nudità, tenuto in ricordo di un signore che è vissuto lì accanto nel secolo scorso. E che sempre lì accanto venne ucciso nel disinteresse dei più 39 anni fa. Faceva l’avvocato, si chiamava Giorgio Ambrosoli, e aveva avuto dalla Banca d’Italia lo scomodissimo compito di commissario liquidatore unico della Banca Privata Italiana di Michele Sindona. Finanziere mafioso, ma ai vertici del potere ufficiale. Dentro il teatro, 328 posti, si sono spontaneamente riuniti molti esponenti, attempati o giovanissimi, della Milano civile, attratti dalla data e dal titolo drammaticamente evocativo, “La forza di un no”, affiancato nel manifesto a un bellissimo ritratto dell’avvocato. Disegnato da Gianluca Buttolo, che ad Ambrosoli ha dedicato una graphic novel. Tornano nello spettacolo i passi essenziali di quella sfida con la finanza mafiosa vinta al prezzo più alto.

Le telefonate con la Banca d’Italia, gli scambi preoccupati di opinione dell’avvocato con Silvio Novembre, il maresciallo della Guardia di Finanza che lo assistette con coraggio e a dispetto dei superiori. Le conversazioni familiari, tenere e gravi, commoventi. Le maledizioni di Sindona, latitante in America e che in nome della libertà inaugura l’infinito copione del malaffare contro la “magistratura comunista”. Anche le telefonate di minacce del “signor Vitale”, queste non recitate ma realissime, in originale, l’accento implacabilmente mafioso, un crescendo di allusioni fino all’insulto senza salvezza, “Lei è un cornuto e un bastardo”. Un applauso alla foto di Ambrosoli si smorza d’incanto alla successiva proiezione della foto sudaticcia di Giulio Andreotti, il grande protettore di Sindona, che ancora pochi anni fa definì l’avvocato “uno che se l’era cercata”.

Viene invitata sul palco, con i figli Francesca e Umberto, Annalori, la moglie dell’“eroe borghese”, come Ambrosoli restò definito per sempre dal celebre libro di Corrado Stajano di quasi trent’anni fa. Lei sale, una camicetta bianca e una gonna a fiori, e soprattutto i capelli candidi, così diversi dai capelli neri della signora che nella piccola pattuglia di dolenti teneva accanto a sé i tre bambini il giorno di funerali del tutto ignorati dal governo (foto sopra). L’applauso è affettuoso, in tutti scatta istintiva la consapevolezza di dovere un risarcimento alla donna gentile che resistette in silenzio prima e dopo, e di cui il pubblico seppe qualcosa (perché così andava il mondo…) solo un decennio dopo grazie a una bellissima pagina di Giampaolo Pansa. Viene letto il testamento morale dell’avvocato, indirizzato proprio a lei quando ha ormai chiaro il destino che lo attende nella solitudine che gli è stata cucita intorno, “Sarai bravissima…”.

Era ancora giovane, 46 anni, l’avvocato quando il killer mandato dall’America lo uccise sotto il portone di casa sua. Un po’ prima di mezzanotte. Ed è quasi quell’ora quando dal San Carlo parte la fiaccolata silenziosa, diretta verso la lapide che ricorda il martirio di chi fece, come si usa ormai dire con troppa retorica, “solo il suo dovere”. Silenziosa è anche la strada; il grande evento pubblico, la semifinale dei mondiali, si è ormai consumato. Parole di memoria recitate da Lucilla di Libera, un paio di studenti che narrano con emozione il loro incontro con la memoria di Ambrosoli; Matteo e Caterina, due ragazzi, che dalle loro sedie sul marciapiede suonano con delicatezza Dylan e Guccini. Una giovane si ferma in bicicletta e fa una foto, si affaccia un signore a torso nudo, poi rientra e fa culturismo davanti allo specchio.
Non c’è una luce accesa nei palazzi di via Morozzo della Rocca, la stretta via di cui imparai l’esistenza solo sulle cronache dell’omicidio. La commozione sfuma in malinconia. La piccola folla con le candele assomiglia a quella di certe manifestazioni che si tenevano in Polonia prima della caduta del Muro. Poi da un angolo spunta un gruppetto di studenti e si dirige verso Annalori. Ha per lei in dono un mazzo di peonie. La abbraccia. Penso che 39 anni fa nessun giovane l’avrebbe riconosciuta. E che in questa sera di luglio, 39 anni dopo, c’è sicuramente più gente che in quel funerale assolato. Prendiamocele così, le piccole e irreversibili conquiste della storia. Le rivoluzioni spesso sono peggio.

(scritto su Il Fatto Quotidiano il 16.7.18)

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