Eppure è Corleone. Eppure è università. Diario minimo di un viaggio collettivo

Eccovi un diario minimo della bellissima ultima edizione dell’università itinerante, svolta con 35 studenti e ricercatori dell’università di Milano in Sicilia. Tema: la rinascita di una regione insanguinata, dall’epopea del movimento contadino fino a Palermo capitale della cultura

Volete voi sapere qualcosa di Corleone, di come sia oggi questa città, storico simbolo di mafia? Volete sapere che cosa abbia io da raccontarvi dopo esservi stato con ampia compagnia giovanile? Anche se nessuno me la facesse, me la sentirei lo stesso rimbombare dentro, questa domanda. Provocatoria, quasi beffarda, mentre giro per le strade della città. Certo la toponomastica non aiuta a cambiare la fama. Via Riina, cortile Leggio. Saranno pure omonimie, ma le ambiguità sconvolgono. Tutto sembra confermare la nera leggenda volata per il mondo. Le magliette del padrino esibite beatamente da qualche turista straniero. La moto che gira nervosamente intorno al gruppo di studenti sconosciuti. L’amaro “Don Corleone” in vetrina. E perfino un consiglio comunale sciolto per mafia. Diresti tutto come prima. Povero il busto di Falcone nella piazza principale.

E invece…E invece scopri che l’Italia è cambiata anche in questo luogo che se ne sta come rifugiato tra le braccia possenti delle sue rocce. Perché le scuole di Corleone hanno insegnanti donne che fanno contro la mafia quel che non si vede nemmeno per sbaglio in qualche paese dell’Emilia dei fratelli Cervi. La scuola prima di tutto, ti ripetono due professoresse. Perché a reggere la città ci sono tre commissarie, tutte donne, guidate da Giovanna Termini, che preferiscono saltare i pasti e i pacchetti di crackers ai ristoranti, perché “è meglio frequentare i posti pubblici il meno possibile”. Mica come i ministri che nelle fotografie proibite ci cascano sempre. Oppure qualcosa cambia perché i carabinieri sono una cosa seria, e il giorno lo passano con l’occhio sempre al territorio, fanno analisi e attività operativa, e vedono pure di buon occhio i giovani venuti da lontano a studiare la storia della città. O perché vi si coltiva la memoria delle vittime, giudici e contadini.

Il sindaco di Prizzi, pochi chilometri da Corleone, ripete quel che sostiene Giovanna Termini. La scuola è stata determinante per cambiare un mondo bloccato per decenni nel terrore. I giovani non si riconoscono più nella mafia. E’ da anni che non ne vogliono più sapere niente, sono frattaglie ormai, i giovani tifosi di Cosa Nostra. Il clan Riina? E’ stato smantellato, ognuno dei figli è andato in luoghi diversi, qui non incidono più. Provenzano? Le nuove generazioni della famiglia sono costrette a sbarcare il lunario, altro che i macchinoni degli anni d’oro.

Si chiama Luigi Vallone, il sindaco di Prizzi. E’ il primo cittadino da vent’anni, in mezzo una parentesi da consigliere provinciale. Ha una bella faccia moderna, capelli bianchi e vitalità da adolescente saggio. Sente l’orgoglio di una storia che è stata di riscatto come poche altre, anche se l’Italia ha l’aria di non accorgersene. Ha offerto al gruppo venuto a studiare queste plaghe di Sicilia un residence che non deve avere avuto fortuna. Ma ci ha messo l’anima perché l’ospitalità apparisse fino in fondo quella di un paese che cambia, aperto, amante degli scambi culturali. Il giorno prima ha provveduto direttamente lui a comprare all’Ikea di Catania asciugamani e coperte e federe. Anzi,  dicono i suoi dipendenti che abbia perfino preparato direttamente un po’ di letti. E’ felice che nel suo comune si moltiplichino associazioni e murales giovanili. Quando spiega il percorso arduo di Corleone e Prizzi e Montelepre non si fermerebbe mai.

E c’è da capirlo, gli vibra dentro un intero pezzo di Sicilia che sente di potere stare alla pari con l’Italia migliore. Là dove già gareggia Valentina Fiore, la grande manager di Libera Terra, che qualunque giuria seria metterebbe tra le prime cento donne d’Italia. E che rivendica il rifiuto dell’assistenzialismo buono, dell’idea di potere vendere i suoi vini per “solidarietà antimafiosa” anziché per la loro “qualità”. Si appassiona, Valentina, narra la Sicilia che muta pelle su quest’ asse tra San Giuseppe Jato e San Cipirello (in foto un campo antimafia a Corleone). Di quando ai raccolti non arrivava la trebbiatrice, perché così avevano deciso i boss, e di oggi che alle cooperative si mettono in fila per un’assunzione con contratto regolare.

La Sicilia delle cose incredibili. Come quella di Antonio, il bimbo innamorato dell’Arma e che la sera del 2 settembre ha chiesto di tenere un piccolo concerto davanti alla Cattedrale normanna di Palermo, mentre era in corso la festa dell’onestà. Una musica di sua composizione, l’ha chiamata “Melodia per un generale”. Antonio, sette-otto anni, si è presentato sul palco e ha spiegato. Aveva promesso lo scorso anno che avrebbe realizzato una composizione in onore del generale e l’ha fatto. Ora suona contorcendosi come i grandi musicisti. Non tradisce emozioni, gli adulti lo guardano rapiti mentre solleva le mani e le fa porta sulla tastiera. La melodia è bella, e anticipa qualcosa. Forse la carriera di Antonio. Forse il futuro della Sicilia.

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 10.9.18)

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