Orgoglio italiano nelle scuole di Stoccarda. Se l’antimafia è made in Italy

Eva Klose è una signora amabile e severa che si occupa di cose italiane da decenni. La nostra lingua l’ha imparata a Bologna, perfezionandola “in Maremma”. E anche se ormai è in pensione non smette di sostenere le buone cause dell’Italia. Non pensiate però che questa professoressa di Stoccarda sia una mosca bianca nella capitale del Baden Wurttemberg, che di italiani ha fatto il pieno. E’ solo la capofila di una generazione di insegnanti che ha scelto di occuparsi delle nostre storie e in particolare di quel che nei magazine tedeschi finisce spesso in copertina insieme agli spaghetti: la mafia, neanche a dirlo.
Sono settantadue le scuole della regione che contano insegnanti di italiano, terza lingua e qualche volta seconda. Professori e soprattutto professoresse di ruolo o tirocinanti, molte giovani. Circa la metà sono italiani di nascita o di origine. Come Paolo Vetrano, un elegante spilungone che insegna matematica. Suo padre venne a lavorare qui da Caltabellotta, provincia di Agrigento, ai tempi in cui Germania, Svizzera e Belgio erano per il nostro sud un faticoso Eldorado. Lui è nato nella Foresta nera, e ne ha nostalgia per via dei colori e dei fiumi. Oppure Julia Bruno, appassionata di giornalismo, anche lei con il padre della provincia di Agrigento e che a Stoccarda incontrò l’anima gemella. O Erina Teresa Rigotti, trentina sale e pepe, che progetta senza interruzione cose nuove, mantenendo -perché così è previsto da queste parti- sia l’insegnamento attivo sia l’attività di pianificazione centrale. Erina ha il suo bel gruppo di tirocinanti, come anche Monika Rueß, bionda signora innamorata dell’Italia, attivissima, e che fa da padrona di casa allo Staatliches Seminar fur Didaktik und Lehrerblidung di Stoccarda (in foto la bellissima biblioteca di Stoccarda).

E’ la loro giornata di formazione. Vedendoli insieme così effervescenti si è percorsi da un misto di orgoglio e commozione. Perché da questa città tedesca stanno cercando di partecipare anche loro alla grande sfida in cui l’Italia migliore spende da tempo forze generose, la lotta contro i poteri mafiosi. L’ aggiornamento è dedicato esattamente a questo tema. Che loro hanno fatto mettere esplicitamente e obbligatoriamente tra le materie di formazione dal proprio provveditorato agli studi. La parola mafia in verità vi era già stata inserita più di vent’anni fa, subito dopo le stragi. Poi scomparve e riapparve. C’erano diversi italiani a cui la cosa non garbava. Raccontano Eva Klose e Paolo Vetrano che c’erano i contrari, quelli che studiare la mafia rafforza gli stereotipi sugli italiani e rovina la nostra immagine all’estero. Così loro, due anni fa, vollero aggiungere tra le materie di studio anche la parola “antimafia”, altro che stereotipi. Per indicare un giovane pezzo di storia da studiare e di cui andar fieri.

Qualcuno ricevette pure delle minacce, da italiani naturalmente. Lo racconta Marina D’Angelo, impegnata nella grande stagione palermitana degli anni Ottanta, quando migliaia di insegnanti si rimboccarono le maniche tutti insieme e gettarono la scuola in una lotta mai prima affrontata. Ora vogliono sapere che cosa accade nel nostro paese, che cosa fa l’Università degli Studi di Milano, che cos’è questa università itinerante di cui hanno letto. E svelano che anche loro hanno fatto la scuola itinerante. Nel 2012. Andarono a Cinisi, il paese di Peppino Impastato. Mostrano con orgoglio il programma di allora, una settimana tra maggio e giugno, “Viaggio di studio per docenti d’italiano del Baden-Wurttemberg”, titolo “La rete della legalità”. Un calendario perfetto. Incontri con colleghi palermitani, scuole e università, magistrati, giornalisti, familiari di vittime. E poi Corleone e l’albero Falcone e via D’Amelio, Brancaccio e Partinico. Libera e Addiopizzo. Il 29 maggio, si legge nel programma, anche la focacceria San Francesco con “panelle, assaggi di pane con milza, cannolo”. E poi i viaggi di scambio con gli studenti. Eva Klose ha un bellissimo album con le foto scattate in un campo estivo. Decine di ragazze e ragazzi con la maglietta gialla. “Chi li incontrò ci disse che erano più preparati degli italiani”, e vista la serietà del gruppo c’è da crederci.

Li passi in rassegna mentre raccontano e ascoltano, o commentano divertiti “L’ora legale” di Ficarra e Picone, o spiegano di evitare in città i ristoranti di proprietà dei clan calabresi. Rivedi le loro storie, l’Italia lontana ma amatissima, patria morale da aiutare, e pensi che questo paese che ha esportato mafia per centoquarant’anni ora produce ed esporta il suo contrario. E che è l’unico a farlo. (sotto, Monika Rueß ed Erina Teresa Rigotti)

(Scritto su Il Fatto Quotidiano del 19.11.18)

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