Le due Eleonore. Amburgo: storie di un orgoglio, un treno, un viaggio

“Tutto a posto? C’è da fare qualcosa?”. Nella sala in cui si spostano sedie e si fanno pulizie irrompe un marcato e giovane accento siciliano. Nulla di strano, se non fossimo ad Altona, quartiere storico di Amburgo. A lavorare alacremente per un pubblico evento culturale è un attivissimo gruppo di signore italiane, si sono date il nome “Rete Donne”. Lo guida una signora romana che è una vera miniera di avventure, proprie e altrui. Racconta di quando dormì in sacco a pelo sulla grande muraglia cinese o di spericolati viaggi in autostop; del prete evangelico della locale chiesa di San Paoli, omosessuale e sposato con il suo compagno, che per mesi ha dato ospitalità in chiesa a decine di fuggiaschi da Lampedusa e che celebra una splendida messa per bambini; oppure dell’immigrato italiano che finché morì ebbe due famiglie, una in Italia e una in Germania, l’una all’insaputa dell’altra fino ai funerali. Eleonora Cucina, questo il nome della signora, parla correntemente sei lingue, compreso il cinese. E meriterebbe, lei con le sue compagne, un racconto tutto per sé se non fosse che quell’irruzione siciliana appartiene a un’altra Eleonora, più giovane e con altra più breve storia di avventure. Tanto è sobria nel suo cosmopolitismo la prima, tanto è scoppiettante la seconda.

Viene da Enna, Eleonora Lambo, e ha tutti i requisiti della cabarettista di successo. Capelli neri tinti a metà di verde, ha una straordinaria capacità di riprodurre i personaggi canzonandoli, di improvvisare macchiette con la mimica dei muscoli facciali e di occhi grandi come noci. Dopo passaggi da Pisa e Barcellona ha preso a Palermo un master in animazione digitale, Accademia di belle arti di Palermo, l’unico in Italia. Poi è venuta fino ad Amburgo. Il mestiere? Progetti di animazione digitale per le scuole, da libera professionista. Insegnare i cartoni, a essere creativi sempre, anche quando c’è da riprendere la realtà nuda e cruda. Lavora con i bambini, ma lavora anche con gli anziani. Sta raccogliendo storie di immigrati, per salvare la memoria di una generazione di confine. Vorrebbe raccontare al mondo la sua Sicilia sconosciuta. E intanto, con un video autobiografico, ha vinto il premio “La mia Europa” in ricordo di Fabrizia Di Lorenzo, la ragazza italiana uccisa ai mercatini di Berlino dai terroristi.

Mentre parla, l’altra Eleonora mi dà sottovoce l’informazione che quasi ribalta la conversazione: “si porta nel cellulare la foto di Rita Borsellino, se la faccia vedere”. E’ un attimo. L’identità della giovane creativa si allarga a macchia d’olio. “Sì, è vero. Nel 2006 ho fatto la campagna elettorale per Rita (in foto al momento del voto) sperando che diventasse presidente della Sicilia. ‘Tornare per vincere, vincere per tornare’ era il nostro motto. Ci abbiamo creduto. Guardi, in questa foto sono con due mie amiche, alla stazione dove aspettavamo di prendere il Rita Express, il treno che doveva riportare centinaia di giovani siciliani in patria con la speranza nello zaino. E qui c’è lei.” Mostra la sorella del giudice, sorridente come sempre, e riavvolge il filo: “Capii che cos’era la mafia quando avevo dieci anni. Noi bambini a Enna andavamo a giocare sul grande spiazzo davanti al tribunale. Poi quando uccisero Falcone e Borsellino quel grande cortile pubblico ci venne vietato. La mafia metteva le bombe. Così se lo prese l’esercito, e nella nostra visione della vita tutto cambiò. Per me che scelsi di andare a Pisa per non restare intrappolata fra clientelismi e raccomandazioni, l’idea che Rita vincesse era un sogno”. Già questa conversazione sarebbe valsa la serata. Ma c’è anche un giovane ingegnere vicino a noi, mi dicono che sta ottenendo successi professionali fulminanti, si chiama Marco Bertazzi. Anche lui, rivela, era su quel Rita Express. Ma non si conobbero allora con Eleonora, c’è voluta Amburgo. E anche lui può dimostrare di avere combattuto la buona battaglia. Estrae dal portafogli il biglietto di quel treno, da dodici anni lo custodisce come un tesoro.

Davvero avvengono cose incredibili. Parlai di quel treno sul “Fatto” la scorsa estate, quando Rita chiuse i suoi occhi azzurri. E mi sono poi chiesto che fine avessero fatto quei ragazzi. Di alcuni, con cui ero rimasto in contatto, lo sapevo. Ma tutti gli altri dove saranno oggi? Sono dovuto venire ad Amburgo per incontrarne in una sola sera due, allora sconosciuti l’una all’altro. E tutti e due ancora impegnati in prima fila, lontani dalla loro terra e italiani di successo. Che semi resistenti furono gettati da quel sogno.

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 28.1.19)

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