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Italiani a Lione. Se “Gomorra” fa rima con zavorra
Gli occhi già grandi si dilatano. Di stupore, di incredulità. Di dolore, di rabbia. Con leggerezza non calcolata, ma proprio come si trattano le notizie che si danno per scontate, mi è capitato di parlare della mafia a Reggio Emilia, e di richiamare qualche particolare. E di commentarlo, fino alle estreme conseguenze. E lei, Maurizia Morini, che a Reggio Emilia è nata da famiglia socialista e comunista, ma vive da tempo in Francia, è stata come trafitta da una rivelazione inaspettata. Ho colto in un secondo quel sentimento di incredulità dolorosa. Che sarebbe diventata rabbia verso il suo interlocutore, se non ne avesse avuto stima professionale.
Ho capito d’un tratto che avevo fatto male, che quella studiosa appassionata traslocata dall’Emilia a Lione (in foto: festa delle luci) tredici anni fa, impegnata com’è a promuovere l’immagine della cultura italiana in Francia, avrebbe meritato più delicatezza. Perché gli italiani all’estero non se la passano proprio bene con l’immagine di Paese che hanno alle spalle. Forse non è stato molto diverso in passato, con le storie di corruzione e mafia che dall’Italia giungevano a getto continuo alla stampa estera. O con il repertorio grottesco-pecoreccio di Berlusconi di cui un giorno un ambasciatore mi raccontò gli effetti perfino sulle domande di iscrizione ai corsi di italiano. Ma certo ci sono stati periodi migliori. E chi ci rappresenta in altre nazioni, anche se tace disciplinatamente, prova disagio, ingoia e poi ricomincia.
Maurizia Morini ha un curriculum di studi di assoluto riguardo. Una laurea in pedagogia a Parma, e poi diplomi di specializzazione in Sociologia e Storia. Anni di lavoro nel sindacato unitario dei chimici a Reggio Emilia e in un centro studi a Bologna, e poi, dal 1980, il passaggio all’impegno nel “femminismo culturale”. Socia fondatrice della cooperativa di ricerca e studi sociali “Lenove” a Modena, “dove eravamo tutte donne, furono i tempi delle prime pubblicazioni scientifiche”. Da lì il salto all’insegnamento, in istituti superiori di Reggio e nella stessa università cittadina. E, nel 1991, la nascita della figlia Giulia, “il rapporto più difficile e meraviglioso della mia vita”.
Nel 2006 l’avventura in Francia. “Come mai? Perché l’esperienza nel mondo della scuola si era fatta difficile, e la realtà di provincia mi andava stretta; passati i tempi delle grandi speranze mi sembrava di vivere in una specie di stagnazione culturale. Non era un problema di motivazioni mie. Io anzi continuo a credere che con l’impegno personale si cambia il mondo, l’entusiasmo non mi è mai venuto meno. Diciamo che fu una questione di orizzonti. Desideravo crescere professionalmente e volevo dare più opportunità a mia figlia”. La Francia la accolse bene. Insegnamento di italiano, letteratura e storia in due università di Lione, organizzazione di molti convegni e in più un ruolo di coordinamento per l’Istituto italiano di cultura, una creatura che scoppia di vitalità ma che paradossalmente in una città dove quasi un terzo degli abitanti ha origini italiane, deve stringere i denti, ospite degli stessi locali dell’omonimo istituto tedesco ma con un settimo del personale. Ancora oggi organizza e tiene conferenze e corsi di storia. Solo che il suo mettersi al servizio del proprio paese diventa a volte una battaglia. Non solo per le notizie che giungono dalla sua città. Ma perché anche i più rinomati prodotti culturali del made in Italy la mandano talora in sofferenza. Ne sono stato testimone diretto nel recente festival cinematografico promosso dall’università di Lione3.
Proiezione e discussione della prima puntata della serie “Gomorra”. Merce di successo, certo, ma con quella deformazione ossessiva della vita di Scampia (o di Casal di Principe, se si vuole), che più che neorealismo è una caricatura feroce e programmata di una società dalle tante facce. L’ho vista risollevarsi, qui sì, alle mie parole, lei reggiana insieme ai giovani napoletani in sala. Felice di sentire quel che è nato nel frattempo (anche sotto la spinta del “Gomorra” libro) in quei luoghi. Sentirsi raccontare l’antimafia nel suo paese, avere qualcosa di cui essere orgogliosa di fronte ai colleghi francesi. “Non è patriottismo, dopo 13 anni in Francia non mi sento né italiana né francese, il che è al tempo stesso piacevole e difficile. Il fatto è che desidero presentare ai tanti francesi che amano il nostro paese gli aspetti dell’altra Italia, positiva, bella, disponibile, aperta; e non solo pizza, Cinque terre, camorra e corruzione.” Come darle torto?
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 18.3.19)
Nando
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