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Passione antimafia. Storia di una donna e di “stimati giuristi”
Proprio vero. Le sorprese capitano ovunque, anche durante gli esami in aula. E scavano. Stavolta ne arriva una grazie a una signora che per età e abbigliamento poco c’entra con le studentesse e gli studenti che attendono il loro turno. Impossibile non notarla. Isolata in seconda fila, nessuno con cui condividere l’ansia che precede la prova. Fa trasparire una certa fiducia verso il prof, benché non abbia alcuna certezza di essere esaminata da lui. Vedo solo, dalla cattedra, che maneggia in una piccola pila di libri anche un mio lavoro di tanti anni fa sulle donne ribelli contro la mafia. Non essendo tra i testi a scelta, un po’ mi allarmo. La signora, mi dico, ha qualche dimestichezza con la letteratura sulla mafia ma non ha portato il programma. Come regolarsi, visto che non è una ragazzina? Due gli scenari. Un gentilissimo invito a tornare, una faticosa promozione per diritto di età, come ogni tanto qualcuno pensa sia possibile ottenere. Ma non me ne curo poi troppo, anche se so bene che alla fine questi problemi devo giustamente risolverli io.
Finché chiamo il terz’ultimo iscritto: “Maria Gloria Di Giorgi”. E’ lei. La signora si alza sorridente, felice, come non aspettasse altro. E sistema sotto i miei occhi i libri con cui si presenta. Ne manca uno fondamentale, e dunque penso “ecco ci siamo, ora parte la negoziazione”. “Ma certo che l’ho portato”, mi tranquillizza invece lei. Ha un accento inconfondibile, siciliano doc. Racconta con commozione la stagione dei sindacalisti uccisi dalla mafia, di Salvatore Carnevale, e soprattutto di Francesca Serio, la madre che ispirò Carlo Levi con le sue lacrime che si facevano parole e le parole che si facevano pietre. Non ha lavorato su riassunti altrui, questo è chiarissimo. Parla con entusiasmo dell’esperienza giornalistica di Giuseppe Fava, conosce a memoria la sua leggendaria inchiesta su Palma di Montechiaro, ne ha colto un particolare che nessuno mi ha mai citato. Perde un punto sulla teoria dell’impresa mafiosa, ma sa tutto della vicenda di Libero Grassi. C’è qualcosa nella sua preparazione che tradisce una straordinaria immedesimazione civile e culturale. Collega in scioltezza quel che accade nel trapanese con quello che accade a Catania e da qui vola in Calabria, su vicende quasi antiche. Ci tiene a dirmi che lavora nella Confesercenti di Mazara del Vallo e che dopo che Libero Grassi (in foto) venne ucciso si diede da fare perché sulle vetrine venissero esposti i cartelli con su scritto “io non pago il pizzo”.
Finisce l’esame, studio e passione, voto molto alto, non il massimo perché voglio poterle dire, a sua soddisfazione, “non le sto regalando nulla”. Poi una breve conversazione. Mi offre in pillole la sua vita. Ha due fratelli in polizia, uno ha fatto la scorta ad Antonio Ingroia, uno lavora in un reparto investigativo. Poi i genitori. Gli occhi diventano due luci: “Mio padre era sindacalista della Cgil. Quand’ero bambina mi appiccicava alle zie perché entrassi con loro in cabina elettorale e le facessi votare comunista. Gli scrutatori me lo consentivano, le zie non sapevano leggere”. Storie d’altri tempi. Come quella della compagna di scuola figlia di un boss poi coinvolto nelle stragi, con la quale un giorno discusse calorosamente su una valigia costosissima. “Posso permettermela”. “Ma non ti chiedi perché puoi permettertela? Non ti chiedi con quali soldi?”. Racconta le amarezze che le riservano certi corsi di formazione per Confesercenti. Il signore adulto che la richiama alla realtà: “ma lei non lo sa che cosa diciamo qui in Sicilia? Che chi mi dà da mangiare mi è padre, me lo terrei in casa anche se fosse latitante”. O perfino la giovane ragazza: “Io sto con chi mi dà un lavoro, come fa i soldi non mi interessa, sono fatti suoi”. La domanda però è obbligata, visto il contesto: “ma lei perché viene da Mazara del Vallo a Milano per fare l’università?”. “Perché a Milano c’è mio figlio”, spiega, “frequenta il Politecnico. Io vengo a trovarlo, così ne ho approfittato per iscrivermi anch’io. A proposito, me la darebbe una tesi sulla mafia a Mazara del Vallo?”. Dice che ha fiducia nei giovani.
Quando a fine mattina so degli interventi scatenati che “stimati giuristi” hanno condotto, in un convegno a Roma su Mafia Capitale, contro tutta la legislazione antimafia, penso che se qualcosa cambierà, lo dobbiamo soprattutto a persone come questa signora siciliana, i suoi fratelli, suo padre. E che se avessi dovuto fare un confronto tra lei e gli “stimati giuristi” di manzoniana memoria, un trenta e lode ci stava tutto.
(scritto su Il Fatto Quotidiano dell’1.4.19)
Nando
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