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Qui Fano. Vi racconto l’angolo della felicità
Appena varcato il piccolo ponte sopra il torrente Liscia, che immette nel centro storico di Fano, potete incontrare, come in uovo di Pasqua, l’angolo della felicità. Non lo riconoscereste in nessun modo. Non ci sono luci né suoni ad annunciarlo. E nemmeno effetti speciali o montagne russe acquatiche. Tutto in quell’angolo sembra ordinario, tipico di una località turistica affollata di umani e biciclette (foto non di stagione, non fate i difficili…). Gente abbronzata generosamente, signori andanti, ragazze croccanti come d’uso. A sinistra un’edicola, a destra una gelateria. E, da lì in avanti, il corso del grande passeggio verso piazza XX settembre.
Ma appunto: l’edicola e la gelateria. Disposte una di fronte all’altra. Come a formare un magnifico e immaginario arco di trionfo che attenda il forestiero ben disposto. Perché l’edicola è una bellezza. Un variopinto bazar all’esterno, come è frequente nei luoghi di villeggiatura, specialmente per attrarre i clienti più piccini. Altro che certe spoglie edicole di città in cui i giornali stanno prudentemente alle spalle del gestore. Invece, una colorata rassegna di oggetti di felicità infantile e, insieme, una autentica epifania di carta, quasi a smentire la crisi della stampa. Metri di quotidiani, periodici, fumetti e libri in grande spolvero. Poi tre gradini, una specie di anticamera anche lei strabordante di buona mercanzia per lettori. E finalmente l’abitacolo a vetri, e una giornalaia sorridente.
Angela, si chiama. Ciano di cognome. Se vi ha visto l’anno prima anche solo due volte, si ricorda, vi festeggia, vi dà il senso di un’amicizia fiorita in un batter d’ali e in cui un lunghissimo anno si è infilato come parentesi in attesa del nuovo incontro. Angela governa quell’angolo di strada offrendosi come sponda gentile per signore sole, o per persone bisognose di chiacchiera, attenta però che i clienti frettolosi non siano costretti in fila. Presenta le sue figlie, a lei quasi identiche, Francesca appena laureata in lingue a Urbino (“è l’università più vicina”, spiega la ragazza quasi a scusarsi), l’altra, Ilaria, studentessa di igiene dentale a Bologna. “Studiano cose molto diverse ma sono tutte e due brave ragazze”, dice con orgoglio. Angela esce dal suo abitacolo, vuol sapere come è andato l’anno, abbraccia te e chi sta con te, esprime un’ospitalità speciale, altro che il saluto di circostanza. Anzi, “Prendiamo un caffè alla gelateria di fronte” è il suo invito. Si va al Pino Bar. Il tempo di chiedere se ha la “Libertà” di Piacenza, 99.9 per cento che non ce l’ha, e così è, ma subito precisa che a saperlo il giorno prima te la fa arrivare, anche se altri direbbero “no, qui non lo compra nessuno”.
Poi nella gelateria vuole che tu e le persone che ti accompagnano si siedano, un caffè almeno. Ti dice di essere felice per questa inaspettata compagnia, chiamando un signore che si muove spedito tra banco e tavoli. Leonardo è il suo nome. Vuole che anche lui ti accolga, ma non glielo dice da lontano tra gli avventori, sarebbe indelicato. Lo fa avvicinare, gli spiega sottovoce. Così lui ti scruta, e poi scruta le persone che ti stanno intorno. Un secondo e ha già notato una cosa che hai addosso, piccola, nascosta. Di fronte al mio stupore spiega che chi lavora in un bar vede tutto, che se mi riincontrasse tra un anno saprebbe dirmi esattamente come ero vestito oggi. E’ contento. Si appassiona alle storie dei miei amici, le ascolta guardandoli in faccia, lo sguardo appuntito quanto uno spillo, intenerendosi per quelle dei più giovani. Di vite giovanili Leonardo sa fin troppo. Una sua nipote restò intrappolata mortalmente nel concerto rap di Corinaldo, vicino Ancona, nello scorso inverno, a causa di quel bastardo urticante spruzzato sulla folla. Bastano poche parole. Chiama la giornalaia “Arcangela”, e lei si premura subito di chiarire che è un suo gioco quello di storpiarle sempre il nome con affetto. Ridono.
In mezz’ora, senza dimenticare le brutture della vita, si è creato in quei pochi metri quadri un clima di allegria e di felicità che segnerà tutta la giornata. Quasi un’euforia. Penso -lo dico o non lo dico?- a un mondo nuovo e rivoluzionario, senza questa esplosione di iracondi e indifferenti, capaci di sentirsi declassati se devono tenere aperto un portone a qualcuno, o dare una informazione gentile a degli sconosciuti. Una giornalaia, un gelataio. L’ingresso in una città. Tutto meravigliosamente gratis. E dire che per acciuffare una sembianza di allegria consumiamo stipendi e altro ancora. Quando c’è l’angolo della felicità che ci aspetta. Basta vederlo.
(scritto su Il Fatto Quotidiano dell’1.7.19)
Nando
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