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La studentessa, la mamma, e il capitano. Cronache dall’Italia che vorrei
Una studentessa universitaria (e sua madre). E un capitano dei carabinieri. Estranei l’una all’altro, ma intrecciatisi nei miei pensieri questa settimana. Frammenti buoni dello stesso paese. E vi spiego perché. La studentessa, prima di tutto. Si chiama Chiara. Ha frequentato lo scorso autunno un mio corso. Due pomeriggi a settimana. La vedevo quasi sempre nelle prime file. Attenta, curiosa. A volte in certi passaggi delle lezioni gli occhi le si sgranavano, segno che quel che stavo dicendo le suggeriva questioni inaspettate o per le quali provava una particolare sensibilità. Superò l’esame orale con un voto d’eccezione: 30 e lode.
Passò qualche settimana, il tempo delle vacanze di Natale, e giunse in ufficio chiedendo di fare la tesi di laurea con me. Gestione e comunicazione di impresa: la interessava occuparsi della comunicazione delle imprese di ristorazione e in particolare della giovane catena “Miscusi”. Una scelta, mi spiegò, derivante dallo studio personale e molto empirico che lei riservava da tempo ai locali che frequentava e ai nuovi stili di comunicazione della gastronomia. Gliela accettai; per il suo valore e perché la motivazione di partenza prometteva già da sé buoni risultati. Non tradì le aspettative, destreggiandosi benissimo tra teoria e ricerca. Per mesi Chiara è arrivata al ricevimento studenti portandomi i capitoli via via scritti o per sentire le mie osservazioni. Solare, disponibile ai cambiamenti, propositiva. A fine giugno ha sostenuto il colloquio di valutazione finale. Punteggio massimo. E relativi saluti: grazie professore, buona fortuna Chiara.
Passano due-tre settimane e ricevo, per ragioni del tutto diverse, una lettera da una mia collega, con cui ho spesso collaborato e con la quale stiamo progettando un seminario in spagnolo sulla criminalità organizzata in America latina. Non un’estranea, insomma. Dice così: “Altra cosa…..avevi una studentessa laureanda di nome Chiara Primavesi, che si è laureata in CES con il massimo del punteggio. E’ mia figlia e ti ringrazio per averla seguita”. Resto di stucco. Dunque Chiara è la figlia di Marzia. E nessuna delle due me ne ha mai fatto cenno. I giovani, lo so benissimo, sono più restii a dare questo tipo di informazioni. I migliori, quelli più gelosi della propria indipendenza, non amano vantare parentele di alcun tipo. Si farebbero sparare, piuttosto. Ma anche la madre non ha fatto un cenno. Nemmeno di quelli eleganti, del tipo “mia figlia sta frequentando il tuo corso, è entusiasta”, a cui segue breve e affettuosa richiesta di informazioni. Ecco, se il cancro del paese, il binomio mafia-corruzione, passa dalle raccomandazioni, abbiamo la prova provata che, anche fuori dall’antimafia, ci sono dei punti da cui non passa.
E qui entra in scena il capitano dei carabinieri. Che, diversamente da Chiara, non conosco, ma solo immagino. E che mi è piaciuto intravedere dietro la brillantissima operazione dell’Arma che ha portato a scoprire la trama di mafia che stava riportando dagli Stati Uniti a Palermo gli “scappati”, i vecchi clan di Cosa nostra (foto). Nomi di peso, i Gambino e gli Inzerillo, con dentro una gran voglia di riconquistarsi Palermo e la Sicilia. Non sarà sfuggito ai lettori il livello di professionalità delle indagini. I boss adiposi in costume e camicia che vengono filmati in mare sopra un gommone mentre discutono dei loro progetti e delle loro sorti (essi sperano) magnifiche e progressive. Ascoltati, videoregistrati nei luoghi che ritengono più inaccessibili. Viene spontaneo domandarsi quanto lavoro ci sia stato dietro quei pedinamenti, quante accortezze, quanta intelligenza, quanta abilità e anche quanto coraggio abbiano contribuito a quello straordinario successo tra le due sponde dell’Atlantico. In genere il fulcro operativo di queste indagini sono un maresciallo e un capitano. Così penso per associazione mentale a quel capitano dell’Arma che collaborò decisivamente all’inchiesta “Infinito” (sfociata nei celebri arresti milanesi-brianzoli del 2010) dando al paese 800 ore di straordinario gratuite, e di cui non sapremo mai il nome.
Ecco perché, nonostante tutto, mi sento meglio. Una studentessa figlia di una tua collega e amica che per un anno non ti fa trasparire, e con lei la madre, nulla sulla sua parentela, per essere certa di guadagnarsi solo con il suo merito il massimo dei voti. Investigatori che fanno il loro mestiere senza sciatteria ma con più ingegno dei mafiosi, senza chiedersi chi me lo fa fare e nemmeno che ore sono. Ma che cosa ci vuole ad avere un’Italia così?
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 22.7.19)
Nando
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