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Anche i social fanno cultura. Parola di Marco e del suo “Pocket Press”
Ero tutto immerso in certe vandeane elucubrazioni quando di colpo mi sono dovuto ricredere. Le opinioni da Vandea riguardavano l’uso e la funzione dei social. Sui quali ho maturato qualche convinzione. Recentemente, a chi mi rimproverava di starne fuori in un momento come questo, ho spiegato che quel che appare sui social, o almeno quel che ce ne viene riportato generalmente dalla stampa, ha una stretta parentela con ciò che decenni fa appariva sulle porte dei gabinetti in università. Sulla faccia interna naturalmente. Bastava dedicarsi alle proprie necessità fisiologiche per trovarsi circondati dalle frasi che oggi impazzano nella twitter-politica. Talora c’erano anche i disegnini. Uno pensava che tutto sommato quello era il luogo adatto per certe esternazioni, che era ovvio che quel repertorio potesse essere sfoderato giusto in solitudine e in ambiente conforme alla qualità del pensiero, dopodiché tornava serenamente alle sue lezioni e ai suoi libri. Nessuno scriveva accanto “mi piace”; anche perché, per farsi notare da qualcuno, avrebbe avuto bisogno di un guardone. Nessuno diceva dell’autore che era “un grande comunicatore”. E nessuno mai avrebbe immaginato che l’autore potesse diventare leader politico. Innocenza dei gabinetti.
Questo spiegavo dunque a un gentile interlocutore quando la stessa sera mi è capitata sotto gli occhi (fonte diregiovani.it) un’intervista a uno studente con nome che più milanese non si potrebbe, Marco Colombo. Il quale ha creato un blog dalla missione galvanizzante, e di questi tempi stratosferica. Si chiama Pocket Press, e ha per logo una tasca che contiene un giornale. Con cui l’autore si prefigge di andare in direzione “ostinata e contraria”. E, invece di seminare disinformazione, fare informazione. Soprattutto andando a scoprire fatti che accadono e di cui nulla si sa, e che il nostro esploratore reputa invece importanti da sapere.
Marco ha 25 anni, e per ora è redattore unico. Progetto editoriale: “scrivere approfondimenti di vario genere, con in più due pagine social sulle quali rilancio notizie che hanno trovato poco spazio pubblico”, in particolare quelle che vengono date da siti esteri e che “in Italia non arrivano affatto, soprattutto su certi argomenti, come l’ambiente.” Il suo procedimento? Cercarsi le notizie che non appaiono sui media nazionali, domandarsi se arriveranno mai in Italia e poi, in caso di personale risposta negativa, pubblicarle. Marco allude anche a molti trafiletti di stampa bocciati dai social, più pronti a scatenarsi per le baruffe politiche. Tipo fatti internazionali, cambiamento climatico e mafia/antimafia. Se gli si domanda un esempio di notizia da Pocket press, cita le proteste studentesche di Hong Kong (in foto), coperte dai media italiani per due settimane e poi basta, con il risultato che quando c’è stato l’attacco più duro delle Triadi contro gli studenti non se n’è parlato, e nemmeno quando è stato occupato il parlamento.
“Ogni giorno”, spiega, “guardo gli stessi 4-5 siti, tra cui CNN, e anche il “South China morning post”, suggeritogli da un amico italiano che lavora a Hong Kong, “una specie di mio inviato speciale”. E fa due edizioni, ognuna con una notizia. “Come si dice, agli orari dei pasti”. Se poi gli chiedete se non trova che oggi la stampa stia dando sempre più spazio ai temi green, Marco vi risponde che di ambiente si parla solo se c’è Greta Thunberg o se i giovani fanno gli scioperi del venerdì. Ma, per esempio, nulla si è detto del più grande parco eolico d’Africa costruito in Kenia, che fornisce al paese il 70 per cento delle energie. Notizia che sui media stranieri “ha trovato enorme spazio”. O di quel che sta facendo Bolsonaro contro la foresta amazzonica.
Marco ne ha anche per come è stato coperto l’ultimo rapporto annuale della Dia, a proposito del capitolo camorra-minorenni o anche, in Lombardia, di quello dei roghi dei rifiuti. O per il lungo disinteresse verso la vicenda di Silvia Romano. Come andrà questa sua avventura di giornalista solitario non sa dirlo, anche se i primi riscontri lo fanno ben sperare. Pensa a un target giovane, quello tra i 18 e i 35 anni, il tipico mondo che si informa attraverso i social. Perché, oltre ai social-gabinetto e alla twitter-politica, “ci sono anche i social che fanno cultura”. E ha ragione. Mai più pensieri vandeani, parola d’onore.
P.S. Marco Colombo è stato mio allievo. Trovarselo in rete lanciato in questa impresa senza averne mai saputo niente prima, mi ha immeritatamente inorgoglito. Che volete farci, “sono soddisfazioni”…
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 5.8.19)
Nando
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