Storia della Professoressa Fantoni e delle sue undici “p” (dedicato a ministri e spin-doctor)

Ci sono momenti della vita in cui vieni rituffato nel tuo passato da meccanismi inconsci. Non vi cerchi niente. Semplicemente e fulmineamente vi “trovi” qualcosa. Trascinato come per una legge di gravità a rivedere una persona, una “storia”. Mi è capitato in questi giorni. Il saloon politico, il ridicolo che si traveste da tragico e viceversa, mi hanno riportato alla memoria una professoressa di matematica che credo non sia più viva. Non ricordo purtroppo il nome (Carla?), ma ricordo con certezza il cognome: Fantoni. E ricordo con certezza anche l’indirizzo privato: piazza Castello 19, Milano. Era lì che le mandavo le cartoline che i miei mi avevano educato a inviare ai professori nei lunghi mesi estivi. Mi insegnava le espressioni, i teoremi e i postulati mentre frequentavo la scuola media “Giuseppe Parini”, allora considerata la più severa di Milano e provincia, fisicamente comunicante con il celebre liceo classico (in foto: era in fondo al lungo edificio, allora senza scritte sui muri).

La scuola media possedeva al tempo qualcosa di elitario, non essendo ancora stati unificati gli studi successivi alla licenza elementare. E dal punto di vista dell’italiano e della matematica, della storia e della geografia, della lingua straniera e perfino dell’educazione civica, quel che vi si imparava equivaleva e talora superava quel che si impara oggi in molte scuole superiori. La professoressa Fantoni era il modello ideale di quella scuola. Aveva del suo ruolo un senso altissimo. Una volta disse ai suoi alunni, che poco potevano capire di quanto accadeva fuori del loro mondo, che non condivideva uno sciopero degli insegnanti appena proclamato. Che pensava che un professore non potesse scioperare: “per decoro” disse. E che piuttosto avrebbe “mangiato patate” tutta la vita. Mi colpì il riferimento al “decoro”, mentre non altrettanto mi capitò per le patate, di cui ero ghiotto.

Credo oggi che in lei albergasse un animo nobilmente conservatore. Quasi militare. Non per nulla ci annunciò un giorno “voi dovete essere i miei soldatini”, monito che non mi sconvolse affatto, stabilendo anzi un formidabile raccordo con il mio luogo di vita abituale, la caserma. Avrei saputo solo mezzo secolo dopo che la medicina inserisce tra i cinque principali fattori di lunga vita l’armonia tra l’ambiente casalingo e l’ambiente di lavoro. Ma il monito si proiettava anche nelle pratiche scolastiche. Libri e quaderni di ogni alunno dovevano essere rivestiti di carta dello stesso colore per ogni materia, per evitare che la singola disciplina diventasse “un carnevale”. Sosteneva che ordine estetico e ordine mentale vanno di pari passo, e in questo la spalleggiava a casa mio nonno materno. Oggi devo dire che, nonostante sia passato per la buriana dissacrante del Sessantotto, mi capita talvolta di darle ragione. Specie quando devo constatare, con una sorta di pena interiore, come assenza di decoro, disordine estetico e disordine mentale producano un frullato di sguaiataggine e di riduzione degli orizzonti cognitivi (nella scuola media di allora erano importanti) anche ai livelli più alti della società e del potere.

Non so quanto la professoressa Fantoni amerebbe sentirsi ricordare per queste cose anziché per la sua bravura nello spiegare ai propri “soldatini” la concatenazione logica delle operazioni, il più e il meno dell’algebra o i teoremi di Euclide o di Pitagora. Ma ogni tanto agli insegnanti succede. Di essere ricordati soprattutto per la gentilezza o per una frase pronunciata d’istinto, soffio inconsapevole uscito dalla cattedra. Così lei viene da me oggi “condannata” a essere ricordata per questi dettagli ma soprattutto per la sua magistrale storia delle “undici pi”, che a noi proponeva come massimo precetto per la vita, non solo scolastica. Diceva così, quella storia: “prima pensa poi parla, perché parola poco pensata può portare pregiudizio”. Ecco perché mi è venuta irresistibilmente alla memoria lei, nelle prime settimane di agosto. Di fronte ai caroselli irrefrenabili di frasi che ne smentivano quintali pronunciate in precedenza (ne ha dato un vivido saggio su questo giornale il direttore), di fronte alle giravolte verbali che mettevano a nudo inettitudini cosmiche, di fronte alle parole in libera uscita -nemmeno il tempo di pensarle-, di fronte al “niente mischiato col nulla” di spin doctor e consulenti d’immagine, è riemersa come un gigante del pensiero dai primissimi anni sessanta questa insegnante amante del decoro e dell’ordine mentale. Tutti a scuola dalla professoressa Fantoni: “prima pensa, poi parla, perché parola poco pensata può portare pregiudizio”.

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 19.8.19)

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