Messico. Dove si decide da che parte va la storia

Qui la storia decide in che direzione andare. Con tutte le sue partite. A incominciare da quella dei muri e delle grandi migrazioni. Perché ai confini del Messico il muro è lungo, infinito, disperato. A Tijuana. A Ciudad Juàrez soprattutto (foto). Gli fiorisce accanto, dalla sua parte povera, un sottomercato della droga. Pullula nei picaderos, i tuguri dove si rifugiano i terminali, quelli che ormai nemmeno si trovano le vene. Li attendono degli esperti, tre iniezioni in cambio di una dose. Fantasmi che producono altri fantasmi. Viaggi gonfi di cicatrici, stupri e violenze lì si fermano sbigottiti. A Ciudad Juarez, metafora della immensa partita di quest’epoca, gruppi di religiosi danno rifugio temporaneo nelle “casas dl migrante” ai diseredati dell’America latina: Guatemala, Salvador, Honduras, da un po’ anche agli africani che arrivano dal Brasile. Piccoli e impervi sentieri sembrano assicurare ai più intraprendenti un passaggio verso il paradiso. Qualcuno ce la fa. Ma troverà il deserto. Che ne sarà di quel ragazzo ventenne e della sua giovanissima moglie con bambina? Resisteranno alle centinaia di chilometri a piedi senz’acqua? Incontreranno i volontari che portano soccorsi, o i suprematisti che sorvegliano i confini della patria con tanto di cani lupo da lanciare contro i clandestini? Il giovanissimo padre non teme nulla. Lo spiega all’incredulo missionario: gliel’ha detto il cielo che giungerà sano e salvo. Non sta forse nelle Scritture che il popolo di Dio troverà la terra promessa?

Ciudad Juàrez però è anche simbolo di un’altra partita da cui la storia deve passare. La donna, i suoi diritti, le sue libertà, con i pronunciamenti solenni degli stati che si fanno ripetutamente carta straccia. Qui più che altrove. E’ dagli anni 90 che in questo paese i corpi delle donne assassinate occupano le prime pagine dei giornali, molto spesso accanto a nudi femminili pornografici. Al punto che il Messico, nota Giulia Marchese, ricercatrice e consulente delle Nazioni Unite, è il primo paese al mondo ad avere tipificato penalmente il femminicidio. Lo ha fatto nel febbraio del 2007, dopodiché molti suoi singoli stati sono venuti al seguito. Eppure la strage continua. Dicono le statistiche che la maggioranza degli assassini sia opera di familiari, coniugi, fidanzati, “ex” di ogni genere. In agosto, dopo gli ultimi casi di giovani donne scomparse e ritrovate uccise, è scattato un appello in rete a costituire una rete di autodifesa collettiva. Su un muro di via generale Francisco Fogaoga a Città del Messico la denuncia è un urlo scritto: “Cada dìa mueren 6 mujeres, por crimines de violencia de genero”. Ma c’è un Messico sordo. Il dialogo con un noto penalista della capitale lascia di stucco. A Ciudad le donne in genere scompaiono per scappare con l’amante, spiega con una certa levità. E invece scompaiono, lì come a Città del Messico come altrove, mentre vanno al lavoro, mentre la povertà le costringe a percorrere da sole a piedi strade solitarie.

I muri e i migranti, le donne e il femminicidio. Ma nel Messico la storia decide anche per l’altra terribile partita che vi si sta giocando, quella sulla realizzazione o meno del primo narcostato al mondo. Non vi riuscì Pablo Escobar con la Colombia, né Riina con la Sicilia, ma nella antica e grande democrazia latino-americana l’impero della droga sembra quasi farcela. In più della metà dei 32 stati è realtà consolidata lo strapotere dei cartelli, che gareggiano in violenza e sangue per controllare il territorio, i luoghi da cui passa droga di ogni tipo, anche quella chimica che arriva dalla Cina, per sfamare la domanda che cresce dall’altra parte del Muro. C’è una contabilità pazzesca che il mondo o non conosce o archivia negli stereotipi del folclore criminale. I 200mila morti dei neanche vent’anni del nuovo millennio, sullo sfondo i volti dei trafficanti o dei poliziotti corrotti. Gli oltre 40mila desaparecidos, ormai battuto il record argentino, di cui invece il mondo sa o ha parlato. Fosse comuni ovunque, 8500 “corpi freschi”, così vengono chiamati, stipati in 5-6 tir sparsi nel paese, cadaveri in frigo da nessuno riconosciuti. Qui non si sparisce per le proprie idee politiche ma per qualsiasi o nessuna ragione. Perciò le ideologie e la politica internazionale tacciono. All’università di Sor Juana a Città del Messico giungono una quindicina di madri di desaparecidos per intervenire al convegno su verità e memoria. La commozione diventa abisso quando parla Veronica. Racconta di quando giunse una segnalazione: forse il tuo bambino è sepolto lì sotto. Di quando andò sul posto a scavare con la pala. Si era vestita bene, si era truccata, perché se ritrovava il suo bambino voleva che rivedesse la propria mamma bella. Si commuove anche la rettrice, e anche Erika, un’attivista che mai ha parlato in pubblico, mi dicono, e invece ora ha appena preso la parola, per disperazione, perché non si può andare avanti così.

Nel Messico si fa la storia, chi vince tra crimine e democrazia. Ad Acapulco, un giorno paradiso e simbolo delle bellezze di questa terra, ci sono otto morti al giorno. A Tijuana ormai sono dieci. Nello stato del Guerrero, quello della strage degli studenti di Ayotzinapa, vige di fatto il coprifuoco. In molti luoghi va in scena il romanzo nero di un’infanzia perduta. Eduardo, il grande “squartatore” di Acapulco, ha iniziato a uccidere a nove anni. E’ sorta una intera generazione di “coyote”, come si chiamano i bimbi-vedetta.
Ma è difficile raccontare tutto questo perché in Messico, ecco la quarta sfida che vale per il mondo, il diritto all’informazione è la posta di una lotta sanguinosa. Dodici giornalisti uccisi solo quest’anno, l’ultimo una ventina di giorni fa. E’ appena nata la rete dei “Periodistas de a Pie”, guidata da Marcela Turati, donna coraggiosa. Vogliono reagire, terranno un grande convegno a novembre. Loro, le donne, i familiari, qualche università, i religiosi, le Nazioni Unite, i diritti umani con un ministro appassionato, Alexandro Encinas. Uno stormir di fronde da aiutare, vietato voltarsi dall’altra parte.

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 29.9.19)

Leave a Reply

Next ArticleSilvio Novembre. Ricordo di un Maresciallo dal cuore grande