Il dolore (ribelle) di Viviana. In nome della madre

“Quell’etichetta per il negramaro l’ho immaginata io”. La giovane donna combatte il groppo in gola, se ne libera con un sorriso tenero, malinconico, di quelli che riserviamo solo a chi non c’è più. “Ho voluto io che tra i suoi capelli apparisse quell’ibisco. Ogni tanto le piaceva infilarlo nella capigliatura”. La conversazione sta andando avanti da una cinquantina di minuti. Il pubblico in sala, quasi un centinaio di persone, si commuove. E’ muto dall’inizio, da quando ha incontrato questa grande storia che la maggioranza non conosceva, anche se oggetto due anni fa di una bella fiction di Mediaset. Chi amava l’ibisco è Renata Fonte, la madre della giovane donna, che la figlia chiama sempre “mamma”, senza pudori semantici. L’etichetta è quella di un vino rosso prodotto sui terreni confiscati da Libera Terra in Puglia, intitolato a lei, assessora alla cultura nel comune di Nardò, nel Salento, nei primi anni ottanta.

La giovane invece si chiama Viviana Matrangola. Sua madre Renata fu vittima innocente di mafia. Venne uccisa una notte dell’84 mentre rientrava a casa dal consiglio comunale perché si opponeva a una delle speculazioni più sfrontate che si possa immaginare, quella su Porto Selvaggio, area marina di possente bellezza, una frastagliata distesa di verde e azzurro incontaminati. Fu all’insaputa di tutti, tranne che degli interessati, una delle più grandi battaglie ambientaliste del tempo, alla quale oggi dobbiamo uno dei trionfi naturali che ancora costellano le nostre coste. Quando le uccisero la madre Viviana era una bimba. Ma i ricordi sono nitidi. E bruciano. Soprattutto i ricordi dei silenzi, la voglia di Nardò di ingoiare tutto, la solitudine di una donna di 33 anni di fronte ai gruppi della grande speculazione edilizia. Ricordi stipati, che fanno esplodere quell’età tra infanzia e prima adolescenza in cui si è inchiodato il trauma. Nell’auditorium di Radio Popolare a Milano Viviana intuisce il pubblico amico, a cui poter consegnare anche le memorie più personali. E ci prova. Ma la parola che mastica il ricordo è fatica fisica.
Provo un senso di colpa nel fare le domande e vedere le energie nervose consumate da ogni risposta. Viviana sembra letteralmente sfibrarsi nella lotta tra impulso al pianto e voglia di non farsene sopraffare, con quell’imperativo orgoglioso di apparire serena, padrona della situazione, mica potrà commuoversi ancora, dopo trentacinque anni. Seleziona con attenzione ogni parola, perché il ricordo sia limpido, perché le sfumature che fanno la differenza siano precise. Quando si fanno queste interviste si resta catturati da quel che il proprio interlocutore dice e racconta. Ma qui, forse per la prima volta, resto incantato, rapito dal “come” del racconto. Dalla profondità della sofferenza di una ragazza che è diventata a sua volta madre e che ancora oggi vive ogni forma di amore nel mondo a immagine della madre. Don Ciotti è stato il suo nume tutelare, Libera -dice lei- la famiglia che non ha potuto avere. Ricorda quando il prete torinese tuonò a Nardò un giorno perché alla commemorazione di Renata Fonte non erano state invitate le figlie. Lo ricorda correlatore alla sua tesi di laurea in architettura, la prima in assoluto fatta sui beni confiscati.

E riporta un racconto che lui le fece dopo un viaggio a Lampedusa. Una testimonianza dei volontari andati in soccorso dopo una delle tante disgrazie del mare. Scesi verso i fondali a cercare le vittime e straziati di meraviglia e pietà allo spettacolo di madri ancora abbracciate, laggiù, ai propri figli. Spiega che non ha mai dimenticato quel racconto. L’abbraccio materno, il grande miracolo umano di cui lei ha sentito la mancanza. E a cui ha voluto dedicare, lei che ha fatto il liceo artistico e che dipinge, una mostra fotografica (“Abbracci”) ospitata da festival, fondazioni e istituzioni per circa tre anni. Il pubblico applaude e si chiede perché, anche se Viviana si professa “inadeguata” al cospetto di altri ospiti precedenti, una donna così non l’abbia mai vista in televisione. E si sente perfino ingrandito, privilegiato, dall’averla incontrata. E con ragione.

P.S. Dedico questo articolo al simpatico presidente della provincia di Barletta-Andria-Trani, nonché sindaco di Margherita di Savoia, che per Capodanno ha girato un ancor più simpatico sketch ispirato al “Padrino” in cui si invitavano con accento e abbigliamento da boss i concittadini ad andare tutti a divertirsi la notte in piazza dalla Chiesa. Mi piace ricordargli che per fortuna c’è anche la Puglia di Viviana e di sua mamma.

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 20.1.2020)

Leave a Reply

Next ArticleQui Berlino. Dusan e Simone, i gemelli dell'antimafia