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Qui Berlino. Dusan e Simone, i gemelli dell’antimafia
Una coppia più frizzante e affiatata è difficile trovarla. Sono decisamente i gemelli dell’antimafia. Dusan e Simone lavorano insieme a Berlino dalla scorsa primavera. Sono arrivati con una borsa del servizio di volontariato europeo. Pieni di speranza, di voglia di far bene. L’orgoglio che da qualche anno molti giovani italiani si portano in giro per il mondo, specie in quello delle università e delle associazioni o degli organismi non governativi. Una specie di “te la do io l’antimafia”, il desiderio di predicare in partibus infidelium, là dove ancora ci si illude che la mafia sia un affare esclusivo dell’Italia. Di predicare quel che in Italia hanno imparato grazie ai nuovi filoni di studio: la mafia c’è in tutta Europa, bisogna conoscerla e saperla combattere. Un know-how, come si dice, assai raro fuori dai nostri confini.
Per questo Dusan Desnica e Simone La Viola hanno partecipato insieme al bando e hanno deciso di dedicare un anno alla buona causa della Germania arrivando da Milano. Il primo milanese nato a Belgrado, un nonno partigiano nella Resistenza di Tito, giramondo per studio e lavoro a Budapest e in Canada. Il secondo, più giovane, milanese di nascita. Uno nero, l’altro biondo di capelli. Uno con la barba e l’aria da furbo orsacchiotto, l’altro senza peli e l’aria malandrina.
Lavorano a “Mafia?Nein Danke!”, l’associazione nata in Germania nel 2007 subito dopo la strage di Duisburg e di cui questa rubrica si è occupata più volte per i lettori del “Fatto”. “E ci siamo trovati addosso il mondo”, spiegano i due, perché l’associazione macina relazioni, costruisce eventi, fa rete da Monaco a Dusseldorf, da Lipsia ad Amburgo, ma non ha una sola risorsa fissa. Del tipo “poveri ma belli”. Perfino “troppo poveri”, fanno capire Dusan e Simone. Bisogna tenere in ordine un poderoso indirizzario, pazientemente alimentato a ogni pubblico incontro. Produrre ogni mese una (ottima) newsletter, in tedesco e in italiano. Viaggiare per la Germania. Organizzare convegni, come quello di due giorni su corruzione e riciclaggio allestito a Berlino in novembre con personalità internazionali e che ha generato un vero picco di attenzione. “Noi pensavamo di venire in un ambiente dotato di strutture e di persone. La fama dell’associazione è alta, la Germania è sinonimo di capacità organizzativa…E invece abbiamo scoperto che tutto viene fatto da un pugno di volontari con tanti simpatizzanti intorno. Poi non avevamo calcolato il fattore Berlino.”
Perché questa è una città unica, stupenda, dicono i due quasi rubandosi le parole alla Qui-Quo-Qua, ma dall’estero ci vengono tutti per andarsene via. Chi è qui cerca emozioni e libertà, ma non ha la più pallida idea di che cosa farà in futuro. Morale, non si può fare affidamento di lungo periodo su quasi nessuno.
Ridono, perché sanno che in fondo sarà così, o potrebbe essere così, anche per loro. Scade in primavera il loro anno di servizio. Stanno studiando sodo il tedesco, anche se Simone l’aveva già un po’ imparato a Dusseldorf grazie a un progetto Erasmus. Stanno prendendo le misure a questa società solida ma che non sfugge ai venti di crisi e di instabilità. Raccontano le difficoltà di fare amicizia. Nelle case che tutti e due condividono con altri giovani non si mangia mai insieme, ognuno si porta il cibo in camera sua; scene da allibire, giurano. “Qui non ci sono amici, o meglio non lo si diventa quasi mai. Tutti conoscenti, anche al corso di tedesco nessuno si ferma cinque minuti in più. Recuperano punti per il fatto che se hai bisogno ti aiutano e che in metro sono molti i giovani che leggono”.
Si informano bene sulle vicende italiane, coltivano la loro già notevole cultura sulla materia, cercano di fare uscire il verbo dell’antimafia dal perimetro della nostra lingua, “finché non ci sono dentro i tedeschi il gol non lo si fa”. Se potessero bissare la borsa del volontariato resterebbero, perché hanno animo da combattenti e spirito di avventura. Insieme, si intende. Perché sul lavoro, loro che si conoscono dai tempi dell’università, hanno trovato un’intesa perfetta, che si vede anche a tavola, nell’appetito e nel versarsi il vino. Ma le borse, esattamente come le anime sognanti di Berlino, vanno e vengono. La mafia invece no, quella resta. E poterla combattere, potere sensibilizzare l’opinione pubblica, e dunque perfino le forze di polizia, dipende anche da questo. A volte le cose sono complicate. Altre volte sono terribilmente semplici. Tra il permanente e l’effimero non c’è storia. Da qui, a Berlino, bisognerebbe ri-iniziare.
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 20.1.2020)
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