Simona, l’infermiera di Codogno (e i suoi colleghi)

Ma che ci sarà mai a Codogno? Quali brulicanti mercati hanno fatto di questo piccolo centro apparentemente tranquillo la capitale occidentale di un virus che terrorizza popoli e governi? Domande che intrigano i lombardi divisi tra i sollazzevoli miraggi del “Decamerone” e l’incubo dei “Promessi sposi”.
Codogno: ironia e paura. Chiacchiere da bar. Epperò a Codogno qualcosa è pure accaduto. Lì in un ospedale di provincia senza grandi mezzi (in foto) un piccolo nugolo di medici e di infermieri si è trovato ad affrontare senza preavviso qualcosa che sta mettendo a soqquadro gli aeroporti del pianeta, da Londra a Città del Messico. Chiamato di colpo a superare una prova campale all’insaputa del mondo, in nome della sanità lombarda. Poi la voce è girata. Ho saputo così un mattino da un amico lontano che in quel piccolo nugolo di professionisti in trincea c’era una signora che conosco da vent’anni. Un’infermiera specializzata innamorata del suo lavoro. E amante della legalità. Conosciuta infatti attraverso presentazioni di libri sulla mafia, dove mi accorsi di trovarla ogni volta che veleggiavo dalle parti di Lodi la quieta: Codogno e Casalpusterlengo, Zelo Buon Persico e Sant’Angelo Lodigiano. Simona Ravera si chiamava, boccoli ramati e gioiosi, con una bimba sempre accanto, che cresceva mandandomi disegnini e poi temi da diciottenne.

Sono così andato in rete e ne ho trovato le tracce. Testatina: Nurse 24.it. Titolo: le 24h in turno di infermieri e medici a Codogno. Testo: “Sembrava un giorno come tutti gli altri. Un’infermiera e un infermiere della terapia intensiva prendevano servizio per svolgere il turno pomeridiano, inconsapevoli di ciò che li avrebbe attesi. Nuovo ingresso del giorno: giovane uomo affetto d sindrome respiratoria in insufficienza acuta […]. Circa sei ore più tardi la notizia che nessuno avrebbe desiderato: i vari tamponi risultano positivi. Covid-19.” Che fare? Ecco che cosa hanno fatto. Due infermieri, due medici e il coordinatore hanno deciso tutto da soli, in gruppo, a partire dalle misure urgenti di isolamento. Blocco dell’avvicendamento dei turni, auto-imposizione a se stessi di 48 ore filate di lavoro, costituzione di una équipe infermieristica di 5 unità. Per garantire il turn over a oltranza. Ottenendo le scorte necessarie per difendere la propria salute e tenendosi in contatto con i colleghi solo con i social. I generi necessari lasciati accanto all’ingresso dell’unità operativa. Due ore di riposo ogni sei. Chiusura agli ausiliari, così da sobbarcarsi ogni altro lavoro, a partire dalle pulizie. Dal Sacco di Milano approvano le procedure seguite, e fanno i complimenti ai cinque: Simona (appunto), Enrico, Salvo, Daniele e Giorgio. Che dopo 48 ore se ne vanno in quarantena ma poi, mentre a Codogno si arriva al quarto caso, tornano al lavoro volontariamente perché l’ospedale è piccolo e le forze sono insufficienti a reggere l’urto. Ci si divide dunque tra dodici ore di servizio e dodici ore di isolamento volontario, per garantire due unità fisse nel reparto strategico.

E non basta. Perché poi danno volontariamente i turni ai colleghi della “medicina”, bloccati dalla mancanza di cambi, e attivano il punto di accoglienza per l’autopresentazione dei soggetti con sospetta infezione. Insomma: competenza, prontezza organizzativa, spirito di sacrificio, in un ospedale che non è lo Spallanzani ma dove l’urto è stato retto da un personale ridotto. In difesa della salute collettiva. Ecco, questo (l’hanno chiamata scherzosamente “sana epidemia di patriottica colleganza”) è successo nella terribile Codogno, nel punto preciso su cui si è abbattuto qualcosa che ha fatto chiudere scuole e uffici, Duomo e musei. Proprio vero che le eccellenze non sempre coincidono con la disponibilità di mezzi e di ricercatori.

Ho pensato a Simona e al suo impegno civile, che l’ha portata a mettere con orgoglio nel proprio curriculum professionale la militanza nella Scuola di formazione “Antonino Caponnetto”. Ho pensato al suo impegno al liceo “Colombini” di Piacenza, dove studia Bianca, la bimba ormai sedicenne, terzo anno di Scienze Umane, in cui lei ha fondato il comitato genitori per promuovere anche nella scuola il verbo della legalità. Ho pensato ai suoi appuntamenti strappati al tempo libero. Ai libri che legge e che consiglia. Tutto quadra, tutto si tiene. Solo chi è a corto di ideali si nega al prossimo per ragioni di lavoro. Nonostante gli orari sterminati e la quarantena, l’infermiera di Codogno ha voluto aggiornarsi con i genitori del suo comitato. Già, come va la scuola?

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 2.2.2020)

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