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La peste. Storie di eroi e di codardi, di arruffapopolo e di ragazzi per bene
Era stata facile profezia: di fronte al dramma verrà fuori il meglio e il peggio del Paese. Proprio come in guerra: gli eroi e i codardi, gli altruisti e gli sciacalli. Nonostante la reclusione vedo e registro storie. Medici che muoiono, perfino medici che rientrano volontariamente dalla pensione per morire in pochi giorni. E medici che invece di accorrere si mettono a battaglioni in malattia, così dicono i giornali, in Campania e in Calabria. E in minor misura altrove. E mi corre una domanda ingenua: nessuno ha pensato di radiarli? Certo, non chi si è ammalato perché si è buttato anima e corpo, ma chi nel momento del bisogno è scappato e si prende lo stipendio.
C’è una dottoressa a Pisa che tornando a casa si è visto affisso all’interno del condominio un bel cartello: lei che assiste i malati di coronavirus, lo sa che qui abitano un ottuagenario e una bambina? Non ci infetti. Quanta nobiltà d’animo nella difesa dei vecchi e dei bambini. Chissà perché non proporre un incontro alla dottoressa, ringraziarla per quel che rischia per gli altri, e poi con molto senso di colpa chiederle per favore di usare i guanti o mani disinfettate per aprire il cancelletto o premere il pulsante in ascensore, preparandosi a sentirsi obiettare che non c’è bisogno di sentirsele dire certe cose quando si lavora a contatto con la morte. No, il peggio si organizza alla chetichella, fa riunioni all’insaputa del medico che non si è messo in malattia, scrive un forbito cartello con pennarello e glielo lascia lì, una sorta di aggressione morale alle spalle, che mi ha riportato alla mente le comari di De André o quei bravi condomini palermitani che fecero anonimamente sapere che non volevano la lapide a ricordo del giudice Terranova sui muri del palazzo, sai mai che ci colpiscano per rappresaglia?
Ci sono medici silenziosi o che ci spiegano sui video viaggianti in che situazioni lavorano, ma c’è anche il medico che si fa un video politico, che incomincia rivolgendosi a Mattarella, e chiede a chi lo vedrà di farlo girare il più possibile, dice che è importante farlo vedere in tutta Italia. Non ci dà nessun consiglio, nulla racconta in più di quel che sappiamo, è una invettiva totalmente politica e chissà perché dovremmo mandarla in giro per il Paese, visto che non parla né degli evasori fiscali né dei suoi colleghi in fuga e nemmeno di chi ha deciso a un certo punto che la sanità privata era meglio di quella pubblica. Video, ancora video, messaggi via cellulare. Siamo invasi, la platea si è moltiplicata grazie alla quarantena e narcisi e grafomani sono scatenati. Mi arriva un altro manifesto politico. Con una certa pratica di comunicazione. Incomincia (di nuovo!) “Signor Presidente”, e poi ecco l’accusa a Conte di “inculcare paura” agli italiani. Sono rimasto di stucco (oggi anche gli illetterati usano “basito”). Con le migliaia e migliaia di morti, e le immagini di Bergamo, è Conte che “inculca” la paura. Perciò uscite liberamente, ve lo dice il paladino degli oppressi. Giungono frasi belle (“la prossima volta trattatemi da ospiti, non da padroni”, è la Terra che parla), una struggente lettera di Pupi Avati, e poi queste autentiche fesserie criminali. Il meglio e il peggio in gara tra loro.
Ma incontro in video, per fortuna, anche i miei studenti. La didattica a distanza è difficile, ti devi dimenticare l’aula, i visi, gli sguardi, il sacro principio di adattamento alla situazione, le lezioni devono assomigliare a quei bei racconti radiofonici di una volta. Racconti e mostri slides, mettendoci la voce, che alla fine qualche emozione può darla. Ma quando ci sono gli esami e le tesi di laurea gli studenti li vedi. Ed è, vi assicuro, un’esperienza affascinante. Li vedi come mai li hai visti. Nelle loro case, nel tinello con armadio anni cinquanta, o con il giardino sullo sfondo, nella camera da letto dove hanno la scrivania o sono al riparo di urla e di rumori. Ti sembra di entrare nella loro intimità, ecco dove vivi, questa è la tua casa. Una volta con un cane accucciato su un divano, una volta con un padre ripreso di sbieco. Ed è reciproco, naturalmente. Si presentano eleganti in casa loro. Perché il destino li ha privati della festa, dell’appuntamento programmato con gli amici per un anno. Ma quando arrivano vestono come farebbero davanti a un folto pubblico, nel momento di stringere la mano solenne. “La proclamo dottore…”. Che bello, che risarcimento dal Niagara di fesserie. Anche nella realtà virtuale la società vera, seria, allegra e timida, trova una sua luce. Ed è una grande notizia.
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 6.4.20)
Nando
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