Tra costumi e letteratura: lo chiamavano “Sportina”. Storia di un vigile di paese

C’è un paese in provincia di Brescia dalle amene attrazioni. Un piccolo fiume per gli amanti della pesca e delle escursioni. Una spiaggetta pimpante e affollata che risentirà purtroppo del distanziamento di stagione. Bar dagli aperitivi sfiziosi. Un nome degno delle novelle boccaccesche. E dimensioni a misura d’uomo, nel senso che non varca la fatidica soglia elettorale dei 15mila abitanti. E che proprio perché a misura d’uomo ha i suoi personaggi rinomati, le sue leggende intinte in memorabili soprannomi. Vuole il caso che uno di questi sia stato mordacemente affibbiato dalla voce di popolo niente meno che a un vigile urbano. Il quale non è riuscito a toglierselo di dosso nemmeno indossando la nuova, più prestigiosa casacca di “polizia locale”. Glielo hanno cucito i commercianti locali, ormai entrati con lui in una certa familiarità di abitudini. Nel senso che sono oggetto delle sue premurose attenzioni mentre attendono alle proprie fatiche. Attenzioni manifestate, di questo bisogna dare atto al protagonista, non nella penombra ma alla luce del sole.

E’ così che alcune mattine fa una signora, che attende il suo turno davanti a un negozio alimentare di qualche pregio, lo nota arrivare d’azzurro vestito. E si accorge con stupore che non è lì per controlli e nemmeno per fare la coda. Con la sua divisa, infatti, il vigile infila un’entrata laterale e ne fuoriesce con una borsa bella gonfia. Allora quando tocca a lei la signora chiede al negoziante perché quello strano movimento. “E’ venuto per la stecca”, è la risposta sconfortata e ironica dell’interrogato. “Ma è vero o scherza?”. “Ma quale scherzo, viene sempre”. La signora partecipa a tutti i miei incontri sulla legalità in provincia di Brescia, così negli anni siamo diventati amici. Perciò mi telefona scandalizzata. E inizia a chiedere per negozi. “Ma sì, lo sanno tutti”, è la risposta. Uno ci mette la zampata irresistibile: “Ma certo, pensi che lo chiamano ‘Sportina’…”. La mia amica scrive allora al sindaco, brava persona, sostenitore della legalità, ma la risposta la delude. “Non ha preso un impegno chiaro a farmi sapere”, lamenta.

Non si dà pace che in un paese del nord progredito un vigile passi tranquillamente di negozio in negozio a riscuotere il pizzo, “fra l’altro non sorride mai”, dice un negoziante, “ma dico, ti regalo della roba, fammi almeno un’espressione di amicizia”. Un giorno l’amica tenace decide di andare a vederlo all’opera al mercato di piazza. Lo incrocia mentre si avvicina a un fruttivendolo, per virare via di lato con un bel bustone, che si aggiunge ad altri due. Lo indica dunque a una signora a un banco, che scatta come una molla: “Ma lo sa che alla festa di beneficenza, dove c’erano fette di torta e bicchieri di vino, anche lì è venuto? Io dico ‘prenditi anche tu i pezzi di torta come gli altri’. No, si è fatto fare il pacco a parte pure alla beneficenza”.

Ma, ecco la buona notizia, c’è qualcuno che ha saputo dir di no: una signora che vende indumenti. “Sì, è venuto anche da me, ha preso delle cose e se ne stava andando senza pagare. Allora io gli ho detto ‘oh, i soldi. Lei lavora e la pagano? Ecco, questo è il mio lavoro e voglio essere pagata”. Per dire che si può. E qui si potrebbe aprire un grande dibattito. Giuridico, anzitutto: non c’è bisogno di dire nulla per creare assoggettamento e omertà, basta avere un cognome temuto o una divisa. Altro che quei processi in cui le alici nel paese delle meraviglie cinguettano “dove sono le prove?”. Sociologico, in secondo luogo: davvero la forza della mafia è fuori dalla mafia. Come è possibile accettare tutti insieme un comportamento predatorio invece che andare in massa dal sindaco? Perché un paese si fa soggiogare da una sola persona, per giunta con quel vezzoso, ma implacabile soprannome di “Sportina”? Misteri della democrazia….

(scritto su Il Fatto Quotidiano dell’ 8.6.20)

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