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Il mio nome è Tutù. Un taxi driver per amico.
Lo guardo e d’improvviso gli scopro gli occhi azzurri di certi suoi antenati. Lo conosco da anni questo tassista anomalo e non me ne ero mai accorto. D’altronde me lo dice solo ora: “Sono nato a Palermo, alla vecchia stazione Lolli dalle parti di corso Indipendenza. Mio fratello partì per la Germania che ero ancora bambino. Ma non resistette. La lingua, la cultura, il buio dell’inverno. Tornò in Italia e provò a Milano. Alla Pirelli. E lì andò bene. Allora chiamò su mio padre dicendogli che c’era lavoro. E mio padre che sbarcava il lunario con dei servizi per una scuola privata venne, e tutti noi dietro, avevo nove anni. Lo presero in un altro turno, anche lui alla Pirelli. C’era un caseggiato in via Pergolesi. La parte sulla strada era per gli impiegati e gli insegnanti. La parte interna per gli immigrati. In due stanze dormivamo in nove”.
Mi affascinano sempre i racconti di quell’Italia rimasta nelle foto in bianco e nero. E anche Angelo, il mio interlocutore, sembra sognare. Mentre mi aiuta nelle urgenze mi suggerisce di fermarci in un posto per un panino, “tanto a quest’ora tutto è chiuso”. Mai un tassista ti porterebbe qui, oasi di cultura alla periferia milanese, dove la sera fanno il cinema all’aperto ma con le cuffie, per non disturbare i condomini intorno. Mi racconta della scelta sofferta di fare il tassista e lasciare il Comune di Milano. Anzi, uno dei più formidabili gruppi consiliari che mente umana possa concepire, divertimento e lavoro a perdifiato, lui, Leo e Livio, li chiamavano “i tre dell’ave Maria”.
“Ho pensato a mio figlio. Che cosa gli lascio che lo aiuti a vivere? Una licenza di taxi è un valore. E io l’ho avuta per un colpo di fortuna in quel periodo in cui Albertini decise da sindaco di mettere in palio alcune centinaia di nuove licenze libere. Non l’ho pagata niente, solo la carta bollata per la domanda. Cambiare mestiere mi è dispiaciuto, ma che ne sai di che mondo troverà tuo figlio”. Dunque, “tassista per amore”. E certo Angelo Sollazzo, detto Tutù a scuola, dove lo ebbi allievo quando mi arrangiavo da supplente, non è uno che pensi solo a se stesso. Nei mesi di punta del Covid ha mollato il taxi. “Perché il lavoro era pochissimo, perché la torta di dividersi era davvero una miseria, e ogni mia corsa sarebbe stata un po’ di euro in meno per qualche mio collega che magari per la licenza si è indebitato, io alla fine ho anche una moglie che lavora”. E allora si è messo a fare il volontario con Emergency e a portare gratis i pasti del Comune per i disabili. Ha ripreso le corse da qualche giorno. Continuando con le sue altre e numerose passioni. Come l’Anpi, l’associazione partigiani, dove si dà da fare come vice impegnatissimo della sezione di Quarto Oggiaro, zona antica e popolare. O come i libri.
Perché in fatto di cultura si cucina anche tanti insegnanti e operatori culturali. Dovevate vedere la precisione con cui mi raccontava davanti ai nostri panini la storia di “Se questo è un uomo”. Le edizioni, gli anni, le quotazioni sul mercato di quella edizione uscita in quella veste, ma anche le quotazioni di “Tex”. Sembrava un ricco collezionista, portandomi in una dimensione a me sconosciuta. E spiegandomi poi, più prosaicamente, perché tanti tassisti non accettano la carta di credito. “Io la accetto, ma poi i clienti se la prendono con me perché in genere passano prima da altri colleghi che gliela rifiutano. La commissione sulla carta di credito la pagano tutti? Sì, ma un negoziante o un ristoratore si rifà con il prezzo. Il mio prezzo invece è la tariffa, mica la posso cambiare. Alla fine di un anno hai duecento euro in meno, bisogna capirli”. Gli occhi azzurro-siciliano parlano come solo in quella terra sanno fare. Mandano un senso di rarità, come certi libri. E io penso che un tassista così è come il telefono: ti cambia la vita.
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 6.7.20)
Nando
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