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Finzioni d’epoca: il pio villaggio e l’Alitalia anti-covid
Questa è una miscellanea di storie italiane estive. Minime e istruttive. Un villaggio ionico calabrese, acque blu che scompigliano i sensi. E che al viaggiatore che vi giunga di sabato a metà pomeriggio potrebbe apparire un monastero, svista clamorosa nella programmazione della vacanza. Perché dietro il verde cancello, tra le sobrie casette a due piani, si apre una piccola piazzetta dalle panchine in pietra. Di fronte a esse, le spalle a chi arrivi, una specie di edicola votiva con una Madonnina. E intorno un gruppetto di pie donne ma anche qualche uomo intenti a recitare compuntamente il rosario. Ogni pomeriggio, ma il numero raddoppia di sabato. C’è chi guarda la scena come un ultimo brano di folclore nella Calabria che fatica a tener testa alle sue discoteche. Chi alza le spalle con sussiego nordico, guarda questi qui. Chi, davanti a quella devozione, scopre che l’antropologia religiosa non è solo roba per Malinowski e resta quasi affascinato dal contrasto con la celebre secolarizzazione dei costumi.
Certo è che tutti immaginano di essere giunti in un posto timorato di Dio. Poi prima o poi si imbattono però nelle voci e nei litigi, e le finestre aperte e la vicinanza e il silenzio ventoso degli eucalipti non aiutano. Soprattutto capita di entrare in contatto acusticamente con i bambini e i ragazzini che giocano a palla sulla spiaggia infinita. Non pensate però ai giovanotti superbi e avvinazzati della Verona di Shakespeare. Pensate proprio ai bambini, andate dai sette ai dodici-tredici anni. Ecco, è lì che l’immagine devota implode e la seconda infanzia sfodera il suo turpiloquio e le sue bestemmie con naturalezza ribalda. Pensi di avere sentito male, ma è così. Genitori lontani, qualcuno insospettabile, ma come -ti giurano- la mamma recita il rosario, il padre è nelle forze dell’ordine, ma il gruppo di bambini di queste cose non si cura, si contagia nelle luci del tramonto, solo chi arriva da fuori sente e si scandalizza. Gli altri no, sembra abbiano tutti licenza, sarebbero pronti a smentire. Far finta, non educare, non litigare.
La società dell’ipocrisia funziona così. Ma mica sono nel bellissimo villaggio ionico apparecchiato per i nostalgici del mare di una volta e per mister Malinowski. Anche nel paese che vola e solca i cieli, tecnologie di avanguardia. Che sta faticando sette camicie a fronteggiare l’effetto Covid. E perciò chiede documenti da riempire prima di partire. E ti prova la febbre quando arrivi. E toglie posti a sedere dai luoghi d’attesa perché, siamo matti?, c’è il distanziamento sociale e se non togli materialmente le poltroncine questi italiani ci si siedono sopra anche se è scritto vietato, e tenere le mascherine tutti insieme, signora si copra anche il naso. Un grande ballo aeronautico dell’anti-Covid, con i suoi riti e le sue giuste premure.
D’altronde vogliono mettere i banchi monoposto nelle scuole, anche se lì i bambini si conoscono tutti e nessuno può capitare vicino a uno sconosciuto, figurarsi negli aeroporti e sugli aerei, dove ti si potrebbe sedere accanto uno che arriva da un altro paese, magari toccandoti tutto il tempo perché è grande e grosso e straborda dai bracciali e mica puoi imporgli di comprarsi due posti. E invece succede che proprio in aereo il distanziamento sociale non esiste più. Altro che alternanza. Sei posti pieni tutti in fila. Non c’è un sedile vuoto. Anzi ogni tanto sono sette seduti perché c’è anche il bambino in braccio. “Signore i voli sono stati comprati”. Sì, anche i bambini sono stati iscritti a scuola. Di nuovo la società dell’ipocrisia. Chiunque voli lo sa. Non prendete caramelle e soprattutto fiato e gocce di saliva dagli sconosciuti.
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 31.8.20)
Nando
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