L’anomalo mondo dei garanti (dei detenuti)
Ahimé, non è che uno se le vada a cercare le notizie, il fatto è che arrivano da sé, specialmente in tempi di lockdown in cui andare in giro è altamente sconsigliato. E così me ne arrivano di nuovo sulle funzioni di quello che nel linguaggio istituzionale (il resto sono opzioni arbitrarie) si chiama in Italia “Garante delle persone detenute o private della libertà personale”. Ne ho scritto qui recentemente dopo che a un telegiornale serale, parlando della scarcerazione del boss Michele Zagaria, erano state citate le spiegazioni del “Garante delle persone private della libertà personale”; dando al telespettatore medio -subliminalmente si intende, ma per la psicologia collettiva non è cosa neutra- la sensazione di uno Zagaria capricciosamente “privato della libertà personale”. Ci si è un po’ chiariti con il Garante in questione. Il termine è stato introdotto dall’Onu anni fa, ma in Italia, come in tanti paesi del mondo, a partire dall’Inghilterra, non è stato adottato dal ministero della giustizia, che -correttamente secondo me- proprio perché non ci siano equivoci subliminali fa seguire il sostantivo “persone” anzitutto dalla parola “detenute”.
Bene. Mi arriva ora in visione una lettera che nulla c’entra con le scarcerazioni, ma che riguarda sempre il Garante. Non si tratta però di quello nazionale, bensì di quello regionale del Lazio da lui coordinato. Il quale sulla carta intestata (che è importante, se no uno non se la farebbe fare e non la userebbe, giusto?) dà di sé due riferimenti: Consiglio Regionale del Lazio e “Garante dei detenuti” (senza aggiunte). La lettera, rivolta al Dap, contesta un progetto di impiego dei detenuti in lavori di pubblica utilità, di quelli previsti dalla riforma dell’ordinamento penitenziario di due anni fa. Così, pur avendo altro a cui pensare, si viene stuzzicati da alcune curiosità ingenue. Per esempio che cosa stia accadendo nella nostra amministrazione giudiziaria, se vi si verifica questa fioritura di anomalie. Mai visto il titolare di una funzione pubblica che le cambia tranquillamente la denominazione istituzionale (se ci sono altri casi prego di segnalarmeli). Mai visto strutture sovra e sotto-ordinate che si occupano di campi di giurisdizione differenti. E nemmeno il titolare di una funzione pubblica che critica l’amministrazione di riferimento non perché violi delle leggi ma perché le promuove.
Una leggera sbornia, insomma, sembra attraversare un mondo a cui è affidata una funzione delicatissima ed essenziale per un paese civile. Funzione consistente, come recita lo stesso garante, nella “prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti”, ossia nell’evitare che le condizioni di costrizione generino mostri. Specialmente nei confronti dei più deboli, i celebri “dannati della terra”. E invece pare che a Rebibbia un singolo detenuto che ha più volte attratto le attenzioni di “garanzia” sia stato negli ultimi anni il senatore Marcello Dell’Utri, piuttosto che qualche sconosciuto nigeriano o marocchino. E invece ci si concentra sul 41 bis pensato e richiesto da quel noto torturatore di Stato di nome Paolo Borsellino, a vantaggio di boss potenti e dotati di patrimoni faraonici, magari spiegando con effetti caricaturali che “la mafia non è più quella di una volta”.
Ma il colpo di scena della lettera sta nel suo contenuto: ossia il rifiuto di accettare che i detenuti possano essere -su loro domanda- impiegati in lavori esterni di pubblica utilità, con corsi di formazione, piccola diaria giornaliera, e abbattimento del loro debito economico con lo Stato. E percorsi finali per borse lavoro. Altrimenti rischia di regredire la cultura giuridica del Paese. Ripassino: ma qual era la funzione? “Prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti”… Ci risiamo: quando le parole non sono pietre.
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 26.10.20)
alfa
E su padre Sorge, niente?
Alberto