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Pane nostro. Se la rivoluzione contadina profuma di futuro
“Occorre un cambio di paradigma”. Sicché tu credi che parlino di filosofia, invece parlano di pagnotte. “La diversità non è una minaccia ma un fattore di equilibrio”. Sicché tu credi che parlino di migrazioni, invece parlano di pomodori. Insomma, mettete dei filosofi, degli umanisti o dei genetisti a coltivare terra e sentirete echeggiare, anziché antichi proverbi contadini, forbiti principi di pensiero sociale. È quanto accade incontrando l’esperienza della “Rocca Madre” nel sud marchigiano. Ti mettono al centro della tavola una bella forma di pane dicendo “questo è il nostro pane”. E proprio quello diventa inopinatamente l’argomento della serata. Anche se una cena non basta a esaurirlo.
Perché poi è un turbinio orgoglioso e inarrestabile di paradigmi, teorie, approcci interdisciplinari, modelli economici, prospettive antropologiche. Ma spieghiamoci meglio. Rocca Madre è una “cooperativa agricola di comunità” nata nell’agosto del 2016 da persone e associazioni che non volevano arrendersi al fallimento di un progetto di agricoltura sociale e sostenibile detto di Rocca Monte Varmine e che era stato immaginato per una tenuta pubblica di 600 ettari di proprietà del comune di Fermo. Già coinvolte in quel progetto di recupero agronomico “mai attuato dal sindaco e dalla sua giunta”, le persone che l’avevano elaborato hanno insomma deciso di non disperdersi e di dar vita a questa nuova scommessa. Con un’idea chiara e ambiziosa: diffondere nella Valdaso, nel cui cuore sta la tenuta di Rocca Monte Varmine, un principio di agricoltura sostenibile e un modello di economia ad ecologia integrale, ossia “etica per l’ambiente e per le persone”, come spiega Olimpia Gobbi, insegnante e già assessore provinciale di Ascoli Piceno. “Puntiamo a realizzare filiere corte locali. Produciamo in bio-grano, trasformiamo in farina e pasta”.
Messaggeri di un nuovo mondo, si sono messi insieme una novantina di soci con diverse competenze e storie: medici, insegnanti, pensionati, contadini, imprenditori, artigiani, disoccupati, etc. Soci sostenitori, soci conferitori -cioè agricoltori che praticano metodi organici e conferiscono alla cooperativa parte dei loro prodotti-, soci lavoratori e soci fruitori dei prodotti. Ma, come sostengono alcuni dei fondatori (pochi nomi per tutti: Enrico Martini, Loris Asoli, Angela Pazzi, Mario Carini, Stefania Acquaticci, Pierluigi Valenti) la cooperativa non è al servizio solo o principalmente dei soci. E’ piuttosto al servizio della comunità, di cui punta a migliorare l’ambiente di vita e le forme delle relazioni sociali. Con l’economia del noi.
Semplice, no? Poi però tutto diventa complesso e specialistico, troppo per poterlo spiegare compiutamente in queste “Storie italiane”. Ma anche troppo affascinante per rinunciare a parlarne. Si è catturati ad esempio dal principio sovrano del “miscuglio”, che porta non a selezionare i semi per averne di sempre più puri o redditizi ma a mescolarli in abbondanza per ottenere raccolti migliori e meno vulnerabili. Il profeta è qui un genetista avventuroso, Salvatore Ceccarelli (in foto all’opera sui campi), che adottò questo principio lavorando per decenni ad Aleppo in Siria, insieme con la moglie Stefania Grando : “cercavamo semi migliori e siamo diventati migliori noi”, racconta felice. Si è attratti, ancora, da un’Italia che punta con vigore e fantasia sulle terre interne, un giorno abbandonate e spopolate. O dallo slogan straordinariamente evocativo “grano nostro, pane nostro”. Si è suggestionati dalla sfida di portare i contadini all’autoproduzione dei semi, oggi proibitiva anche a causa delle leggi. Si è affascinati, in generale, da questa infinita concatenazione di principi, che alla Rocca Madre diventano ciliegie, uno che tira l’altro senza interruzione. Credetemi: visto da questa pagnotta a centro tavola, il ritorno alla terra è davvero un viaggio verso il futuro.
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 22.11.21)
Nando
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