Gennaro Musella, il costruttore che si ribellò ai “ribassi” di mafia

E chi se lo ricorda più quel 3 maggio del 1982? Non fa nemmeno cifra tonda. Una specie di numero grigio. Fosse il quarantesimo anniversario…E invece vorrei qui ricordarlo. Per la storia che finì quel giorno. La storia di Gennaro Musella, imprenditore salernitano trasferitosi in Calabria negli anni settanta. Una vicenda esemplare. Musella, padre di quattro figli, aveva portato tutta la famiglia a Reggio, coltivando progetti di sviluppo della sua impresa che avrebbero fatto il bene della Calabria. Si stimava che la sua fosse la seconda impresa di edilizia marittima del sud. In qualsiasi contesto bisognoso di occupazione sarebbe stato accolto come un pubblico benefattore.

Ma non era quello il caso. Lo ebbe ben chiaro quando partecipò alla gara per costruire il nuovo porto turistico di Bagnara, mar Tirreno nella provincia di Reggio. Preparò il suo progetto con perizia e amore, convinto di avere qualità, strutture e genio per vincerlo. Invece lo perse. L’appalto andò a una impresa siciliana. Questioni di prezzo, di massimo ribasso. Musella non era uno stupido e capì d’istinto che quel prezzo non era sostenibile da un’impresa sana. E contestò scientificamente la propria esclusione a opera dell’azienda vincitrice, legata a Carmelo Costanzo, uno dei celebri “cavalieri del lavoro” che allora impazzavano nell’economia meridionale godendo di altrettanto celebri appoggi mafiosi. Come fa a mettere questa cifra per il personale se con il contratto collettivo di lavoro il costo minimo degli operai è molto più alto? Come fa a mettere questi costi delle materie prime se un quintale di qualità minima al più basso prezzo di mercato costa molto di più di quel che figura nel preventivo?

Insomma tanto precisamente obiettava e tanto decisamente evocava il broglio che costrinse a rifare la gara. Allora succedeva. Oggi sarebbe impossibile, facce di bronzo crescono. Musella si preparò al nuovo bando. Ma avrebbe vinto un’altra azienda catanese legata al gruppo Graci, di nuovo i cavalieri del lavoro. Stavolta non fece in tempo a verificare i conti della concorrenza perché prima della chiusura della gara, giusto quel 3 maggio, venne fatto saltare in aria, una bomba esplose sulla sua mercedes alle 8 e mezzo del mattino (vedi foto). La giustizia chiuse i battenti su quell’omicidio. Secondo un rapporto dei carabinieri vi era di mezzo un potente clan reggino, i De Stefano, voglioso di fare un favore al boss catanese Nitto Santapaola e all’imprenditoria etnea, sua alleata e ormai protesa al di fuori della Sicilia. Fin qui abbiamo però “solo” e giustamente ricordato un imprenditore onesto e coraggioso.

Ma credo che se mi è venuto in mente proprio lui sia anche per un’altra ragione. Ed è che ci stiamo preparando con qualche timore a gestire i fondi in arrivo dall’Europa per rimediare al disastro sociale e sanitario in cui siamo stati precipitati dalla peste cinese. E ci chiediamo (non tutti, in realtà) come evitare che questi fondi finiscano nelle mani dei clan, che siano le loro imprese a vincere appalti e soprattutto subappalti. Ebbene, io sogno cento, mille Gennaro Musella al servizio della nostra pubblica amministrazione che, in chiusura di ogni gara, ma proprio di ogni gara, quando si metteranno a confronto le varie offerte, impediscano alle oche giulive di andare diritte sulla busta contenente il prezzo più vantaggioso. E prima che sia proclamato il vincitore si mettano a fare il quarto grado ai numeri. Come è possibile la somma x con tot operai a questo salario? Con tot quintali a questo prezzo d’acquisto? Questa sarebbe la selezione ideale. Non le scartoffie che stroncano qualunque imprenditore onesto, ma le competenze che stroncano qualunque imprenditore mafioso.
Ecco, ora mi è più chiaro perché mi è venuto in mente quel 3 maggio di 39 anni fa. Perché parla al nostro futuro prossimo. Non solo alla memoria.

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 10.5.21)

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