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Gli arresti domiciliari spiegati ai bambini (a proposito delle scarcerazioni)
La clausura come scuola di vita. Sissignori. Imparo l’economia domestica, l’innaffiatura e potatura dei fiori, la cucina oltre il riso in bianco e l’uovo sodo, lo scambio di saluti con il cane della casa di fronte, gli orari per rinfrescare le stanze seguendo il giro del sole. Soprattutto sto imparando che cosa si può fare durante i famosi arresti domiciliari. Pensate che avevo appena fatto una lezione (a distanza) intitolata “Cutolo come metafora”, ambientata tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta del secolo scorso, e mi sono ritrovato, quarant’anni dopo, a rivedere le stesse cose e a doverle spiegare. Circondato da una folla di giuristi insigni che ripetono “i diritti umani, i diritti umani”. Allora lo dicevano solo gli avvocati dei boss.
Eccovi dunque un piccolo elenco delle cose che faccio. Tengo due corsi universitari nei quali ogni studente può prendere la parola. In un caso sono più di ottanta studenti ai quali passo slides, foto, informazioni, valutazioni. Ognuno può accendere il microfono e chiedere chiarimenti. In uno dei due corsi, che ha un carattere molto particolare, discutiamo a fondo di idee e di principi, con abbondante scambio di opinioni. Poi c’è il consiglio di dipartimento. Abbiamo fatto sedute di laurea, esami di quattro materie, e ricevimento studenti. Ho fatto lezioni di dottorato, lezione anche per l’università di Bologna. Incontri e colloqui internazionali: da Londra a Copenhagen a Città del Messico. Ho partecipato a due maratone-manifestazioni per il 25 aprile, con tanto di video personale. Ho sentito politici e giornalisti. Coordino perfino il comitato tecnico-scientifico antimafia della Regione Lombardia. Ho promosso con altri una petizione della scuola di formazione “A. Caponnetto” contro le scarcerazioni di massa. Con l’aiuto di una collaboratrice esterna ho fatto un video sullo stesso tema, che trovate su fb. E tante altre cose. Giusto per dirvi che cosa si può fare dagli arresti domiciliari: praticamente tutto, con tre click raggiungete ogni parte del mondo. E impartite disposizioni, comunicate, informate, mobilitate, raccogliete pareri e ne dispensate, fate sottoscrizioni, raccogliete fondi. Oltre naturalmente a leggere, sentir musica e farvi un caffè.
Ora voi dovete immaginare che questa condizione è stata regalata simultaneamente a decine di boss di mafia e di camorra, per i quali stare sul territorio è la cosa più importante, perché da New York non si comanda ma da una casa scavata sotto terra nel proprio paese sì. E che essa è stata presentata come una detenzione alternativa al carcere, certo un pochino più morbida. Ma per carità, sotto “stretta sorveglianza”.
Domanda, con la preghiera di non offendersi: ma è mai possibile che nessuno dei magistrati che hanno prescritto e firmato “arresti domiciliari” abbia pensato che questa era una misura di costrizione 40 anni fa e che adesso è l’offerta di una quartier generale da cui dirigere a pieno ritmo i propri affari e delitti? Possibile che nessuno di questi sensibilissimi (e talora un po’ permalosi) magistrati non capisca i rapporti tra pene, tecnologie e culture criminali? Davvero a tanta astrattezza può portare il culto formale dei codicilli? Durante la lezione in cui ho dovuto riprendere il tema di “Cutolo come metafora” ho chiesto agli studenti, sparsi in 80 (ottanta…) case diverse e sconosciute, se pensavano che quello che faccio ogni giorno potesse subire qualche interferenza negativa per effetto della presenza di un plotoncino di poliziotti sotto casa (in foto, per esempio), non parliamo della classica vigilanza “mobile”, ossia l’auto che passa ogni ora davanti al portone. E il braccialetto, dite, secondo voi il braccialetto mi impedirebbe di fare queste cose, alle quali attendo con un computer e un normale cellulare soltanto, anziché, come fanno spesso i boss, con sei o sette cellulari acquistati all’estero e non intercettabili? Ne avevano anche in carcere.
E ora, ditemi ancora, chi di voi sosterrebbe che tutto questo c’entra qualcosa con il rispetto dei diritti umani o con la “funzione rieducativa della pena”? E quanto c’entra invece con la difesa dei diritti della collettività o delle persone innocenti? Il guaio è che non solo gli interessati non saprebbero rispondere a queste domane, ma neanche se le fanno. Come quando li mandavano al soggiorno obbligato, per farli firmare ogni due giorni nella stazione dei carabinieri. Nel frattempo quelli prendevano l’aereo, andavano e tornavano da casa…Storie italiane davvero, sempre quelle. Con tanto sangue di mezzo, però.
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 4.5.20)
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