Il Padrino di Tony Renis

L'Unità – Joe Adonis, chi era
costui? Leggetela bene questa storia, tratta integralmente da documenti
ufficiali. Perché è un uovo di Pasqua con la classica sorpresa. E con tanto di
morale, umoristica e istruttiva insieme, che riguarda fatti e personaggi dei
nostri tempi. Joe Adonis, dunque. Gli storici della mafia sanno bene chi fosse.
Ma anche a loro una «rinfrescata» farà bene. Parliamo di uno dei più famosi
boss di tutto il Novecento. Che vantò una rarità per così dire anagrafica:
quella di giungere ai vertici delle cosche siculo-americane pur essendo
originario della provincia di Avellino; da cui, agli inizi del secolo, partì
bambino per gli Stati Uniti con il nome di Giuseppe Doto. Di lui si occuparono
a lungo sia la commissione d'inchiesta Kefauver del Senato americano sia la
commissione Antimafia del Parlamento italiano nella sesta legislatura
(1972-'76).

Risultava essere uno dei giovani
boss emergenti al secondo convegno tenuto dalla vecchia Mano Nera a Cleveland
nel 1928; e uno dei fondatori ad Atlantic City, insieme con Frank Costello e Al
Capone, della futura Cosa Nostra americana. Risultava anche essere stato
l'ideatore e l'organizzatore della micidiale "murderers incorporated", ossia
della anonima assassini che dal 1929 funzionò come agenzia di reclutamento di
killer in tutto il mondo, invenzione strategica delle famiglie siciliane
d'oltreatlantico per commettere delitti senza incappare nelle indagini delle
polizie statali. Dicevano i rapporti investigativi che egli giunse all'apice
del potere quando, sempre negli Stati Uniti, venne creato il cosiddetto
sindacato del crimine, con l'obiettivo di mettere ordine tra le bande rivali e
di spartire le zone di influenza. E che di tale sindacato egli curava le
relazioni esterne: giudici, poliziotti, politici, uomini d'affari,
professionisti. Efficacissimo. Al punto che il senatore Kefauver lo definì "uno
degli esempi più clamorosi della collusione fra gangsterismo e grande
industria".

Ebbene, nel '56 Joe Adonis sbarcò
definitivamente in Italia. Il progetto? Gestire, in coppia con Frank Garofalo,
e per conto di Cosa nostra americana, il passaggio della vecchia mafia
siciliana alle attività che già in America si erano dimostrate più fruttuose, a
partire dal traffico degli stupefacenti. In contatto con le cosche isolane,
Adonis – dopo un periodo trascorso nel Lazio e in Val d'Aosta – si impiantò
stabilmente a Milano. Scriveva la commissione antimafia, nella sua relazione di
maggioranza: "Il nuovo impero dell'organizzazione almeno fino agli inizi degli
anni '70 ruoterà attorno a Joe Adonis che sarà l'epicentro di una rete
organizzativa del contrabbando con ramificazioni in tutti i paesi europei".
Distinto, elegante, amante della bella vita e dei locali notturni, Joe Adonis
prese casa nel centro di Milano, in via Albricci. E qui intrecciò alle molte attività
illegali la compravendita di immobili e costruzioni nonché la gestione di una
catena di supermercati. Di fronte a tanto allarmante attivismo, le autorità di
polizia, prima distratte, si svegliarono e moltiplicarono i controlli, sfociati
in una richiesta di soggiorno obbligato. Scriveva ancora in proposito la
commissione antimafia: "Le indagini serrate ed attente condotte tra il 1970 e
il 1971 rivelano come Adonis sia ancora un capo e che la scelta di Milano come
sua residenza è stata determinata da precise esigenze strategiche: la direzione
internazionale di preziosi, soprattutto brillanti, con ramificazioni in Francia
ed in Svizzera ed il coordinamento del contrabbando di stupefacenti verso il
nord-Europa".

Tutto chiaro? Bene, perché ora
arriva la sorpresa. Una sorpresa – ci credereste? – di nome Tony Renis. Sentite
bene e non ridete. Sulla bobina delle intercettazioni telefoniche del 19 e 20
febbraio del 1971, attesta il rapporto del questore di Milano, viene registrata
la telefonata "del noto cantante Tony Renis", il quale "avendo saputo che una
troupe cinematografica americana era in cerca di attori per il film tratto dal
romanzo Il padrino, chiese al Doto (ndr: ossia Joe Adonis) di pregare il
regista del film, Francis Ford Coppola, affinché gli affidasse una parte, anche
se secondaria, essendo già il ruolo principale coperto da Marlon Brando".
Confessiamolo. È semplicemente grandioso. Grandioso che Tony Renis ambisse a
recitare nel "Padrino". Ma grandioso (e spassoso) anche pensare che, se fosse stato
per lui, avremmo perfino potuto avere il "Padrino" con Tony Renis al posto di
Marlon Brando! Grandioso anche che per soddisfare questo suo desiderio Tony
Renis si sia rivolto a Joe Adonis, ossia che abbia ritenuto che la cosa più
naturale da fare, per recitare nel "Padrino", fosse di farsi raccomandare da un
padrino in carne e ossa. Attenzione infatti. Il "noto cantante" non giunse ad
Adonis involontariamente, attraverso intermediari del mondo dello spettacolo.
No, gli telefonò direttamente: a lui, uno dei capi supremi di Cosa nostra; a
lui, organizzatore dell'anonima assassini. Aveva consuetudine con Joe, aveva il
suo numero di telefono (proprio come ogni giovanotto milanese di belle
speranze), e gli telefonò. Volete sapere come andò a finire? Qualche giorno
dopo Tony Renis telefonò ancora a Joe Adonis e lo ringraziò. Gli disse che
"Sam" aveva "fatto tutto". Chi era "Sam"? Curiosità legittima. Era Samuel
Lewin, altro esponente di rango della malavita organizzata, allevatore di
cavalli nel New Jersey, mandato apposta in Italia a contattare Adonis da Thomas
Eboli, vicecapo di Cosa Nostra in America. Sì, deduzione esatta: Tony Renis era
in contatto autonomo pure con "Sam", anche se questi era arrivato in Italia
appena da poche settimane. Purtroppo il sogno del film non si avverò. Forse
perché alla fine del '71 Joe Adonis, da poco spedito al soggiorno obbligato,
morì di infarto. O forse – è solo un'ipotesi – perché Francis Ford Coppola non
ritenne Tony Renis all'altezza nemmeno di una parte secondaria. O per altro
ancora.

Di fronte a questa
storia-con-sorpresa conosciamo l'obiezione difensiva. Ossia che nel mondo dello
spettacolo sia consuetudine non andare troppo per il sottile nelle
frequentazioni, specie se c'è di mezzo la carriera. Sicché è meglio aggiungere,
per chiarezza del lettore, qualche piccolo dettaglio. E raccontare che il boss
effettivamente si dava da fare nel mondo dello spettacolo. Tanto che si mosse
su richiesta di Antonio Maimone (implicato in un traffico di preziosi e
intenzionato a portare in Italia Frank Sinatra) affinché il maestro Augusto
Martelli accettasse di organizzare un festival al quale fare intervenire Mina.
Ma non ebbe successo. Evidentemente Mina, al contrario di Tony Renis, non
teneva a certe amicizie. Il bello però è che l'idea di arrivare a Mina
attraverso il Padrino nasceva dall'ambizione di organizzare, state a sentire,
un contro-festival in competizione con quello di Sanremo. Al festival di
Sanremo doveva essere inflitto uno smacco; forse (così si arguisce da una
intercettazione) perché non aveva spalancato le sue porte agli amici di Joe
Adonis.

Ed ecco qui la morale umoristica e
istruttiva. Oggi l'amico di Joe Adonis è diventato direttore artistico di
Sanremo. Per riuscirci non ha dovuto fare alcuna telefonata. Tutto gratis. Gli
è bastato passare l'estate al fianco del capo del governo e chiedere a lui
direttamente l'ambito posto, in nome di una lunga amicizia. Trent'anni dopo,
insomma, il controfestival non lo devono più fare gli amici di Joe Adonis,
visto che nel frattempo si sono impadroniti di Sanremo. Lo devono fare, però,
artisti e imprenditori e creativi e letterati che vogliano difendere le
tradizioni (anche quelle diventate un po' sgangherate) del paese. L'ho proposto
il mese scorso su questo giornale. Ora (con riserbo assoluto sul resto) posso
anticiparlo: il controfestival si farà. Musica, parole, satira, cultura. C'è
chi ci crede, c'è chi ne coglie il senso di simbolica rivolta civile. E oltre a
denunciare l'indecenza dei costumi vuole seppellire questo circo assurdo sotto
una grande, intelligente, implacabile risata.

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